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Dopo i moniti e le raccomandazioni del commissario europeo per gli affari economici, ora arriva anche il diktat del presidente della BCE
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In questi anni non sono mai mancati rimproveri e consigli da parte di esponenti europei che, a vario titolo, hanno ricoperto incarichi nelle istituzioni dell’Unione, ma il recente fuoco incrociato nei confronti dell’Italia inizia ad essere un elemento sul quale riflettere per delineare gli scenari futuri.
Se abbiamo già sentito moniti e raccomandazioni di Pierre Moscovici, commissario europeo per gli affari economici, nei confronti delle nostre politiche e dei bilanci pubblici, non ci si aspettava che il governatore della Bce, Mario Draghi, da italiano, desse una stilettata così forte all’esecutivo dell’Italia.
Draghi ha ricordato al governo che le voci di possibili sforamenti di bilancio, in termini di deficit, hanno creato instabilità nei mercati provocando la risalita degli spread nelle ultime settimane e ha ribadito che la funzione della Banca Centrale Europea è quella di perseguire la stabilità dei prezzi.
Da questi Diktat emerge quella che è, e continuerà ad essere, la politica monetaria ed economica dell’impalcatura europea: “Cari Italiani, il vostro debito pubblico lo dovete finanziare sul mercato e la Bce non interverrà in nessun caso a salvaguardare debiti sovrani in futuro.”.
A buon intenditor poche parole, dice il proverbio, ed il nostro esecutivo, al di là di strilli e alzate di scudi, lavora sotto traccia per capire quali strategie in questo momento siano più utili al nostro Paese.
La crisi dei Paesi emergenti, come Turchia e Argentina, è solo la punta dell’iceberg sull’evoluzione della situazione internazionale, con il Pil europeo rivisto al ribasso per i prossimi tre anni.
L’atteggiamento protezionista degli USA, ed il contemporaneo rialzo dei tassi di interesse, sta portando ingenti flussi di denaro verso l’America, con le conseguenti difficoltà, da parte dei Paesi emergenti, a finanziare i propri debiti esteri, denominati in dollari, con la valuta statunitense in continuo rialzo.
Il nervosismo dei mercati sta sottolineando quello che tutti temono: una nuova recessione economica che colpirebbe in modo dirompente gli assetti politico istituzionali dei Paesi occidentali.
L’Europa, troppo presa dall’avanzamento dei populismi, non decide e sta alla finestra, ben conscia che un altro 2008 sarebbe la fine del progetto europeo, dopo 2.700 miliardi di euro spesi di Quantitative Easing che non sono riusciti a riportare l’inflazione e la crescita ai livelli desiderati, provocando solo disoccupazione di massa nei Paesi periferici e chiusura ad Est sul tema migrazione.
Nell’attuale situazione, l’Europa tutta austerity ed esportazioni non avrebbe più manovre monetarie per invertire la rotta e la politica sarebbe costretta a rivedere Maastricht e le impostazioni di base che tengono faticosamente in piedi l’Euro e l’Unione.
Tra tutti i rischi presi in considerazione, l’esempio Giapponese può essere quello più calzante: stagnazione secolare, ossia un pericoloso status di crescita e inflazione zero. In termini medici: “la morte apparente”.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::2811::/cck::