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Lo spread e l’incremento degli interessi da pagare sul debito pubblico inaspriscono la condizione dell’Italia, che avrebbe bisogno di supporto da parte della Banca Centrale per rimettere in moto l’economia.
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Se ne parla sempre, spesso a sproposito, come se questo fardello di 2330 miliardi fosse il male assoluto che ci accoglie alla nascita con lo status di debitori.
Pochi sanno che il debito pubblico italiano è stato relativamente tranquillo e dormiente, oscillando tra il 50% e il 60% per trent’ anni, dalla genesi della Repubblica Italiana fino al 1980.
Negli anni ’70,con le rivendicazioni salariali e la forza dell’ allora Pci (partito comunista italiano), il conflitto distributivo veniva calmierato con spesa pubblica,svalutazione ed alta inflazione, in un mondo abbastanza chiuso ai movimenti di capitale, permettendo al nostro paese un equilibrio e crescita costante.
Il modello cambiò nel 1981, con il divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, con alcuni esponenti politici che cercarono di mettere un vincolo esterno allo strapotere di spesa pubblica che la politica aveva assunto, con l’ obbligo di finanziare il debito sui mercati internazionali.
Il risultato fu quello di dover attirare creditori esteri con la leva di appetibili tassi di interesse: in appena 12 anni il debito pubblico , dal 1980 al 1992 , aumentò del 45%, con la politica che continuò con leggi finanziarie permissive per tornaconti elettorali, senza che nessuno riuscisse a mettere un freno alla tendenza debitoria.
I successivi tentativi di entrare nello SME prima, e Euro dopo, hanno costretto l’ Italia a far esplodere la spesa per interessi, attraverso la promessa di alti rendimenti dei nostri titoli per incamerare valuta estera e difendere il valore della nostra moneta.
Una volta che la frittata è stata fatta rimane difficile porvi rimedio, nonostante l’avanzo primario sempre positivo (entrate meno costi al netto della spesa per interessi), infatti, negli ultimi trent’ anni, i cittadini hanno ricevuto meno servizi rispetto alle tasse pagate, con tutte le riforme successive e tagli della spesa sociale.
Gli ultimi dieci anni ci hanno insegnato che le politiche di austerità stabilite dall’Unione Europea hanno desertificato sempre di più il paese a livello industriale ed economico, e, nonostante gli sforzi fiscali fatti, il debito pubblico ha raggiunto il livello del 132%.
La conseguente perdita di competitività, causata da sfiducia e calo degli investimenti, mettono l’ Italia in uno stallo molto pericoloso e in equilibrio precario, sia per noi, cittadini del Belpaese, sia per l’Europa stessa, se non riuscisse a trovare i giusti correttivi per rimettere in sesto una politica economica un poco più assennata.
Lo spread e l’incremento degli interessi da pagare sul debito pubblico, possono solo inasprire le mediazioni necessarie per rimettere in pista l’Italia, che avrebbe bisogno di supporto della Banca Centrale per calmierare gli interessi e sprigionare più risorse per rimettere in moto l’ economia.
La pretesa di tagliare il debito pubblico, puntando su maggiori entrate e minori costi, significa far sprofondare il paese in una recessione ancor più forte rispetto alle congiunture internazionali, con larga parte della popolazione alle prese con povertà diffusa e disoccupazione.
Il nodo politico rimane a Bruxelles: può l’ Europa fare uno strappo ai suoi dogmi e consentire al nostro paese maggiore flessibilità e intraprendere un piano Marshall in stile italico?
La risposta arriverà nei prossimi mesi, ma al di là di numeri e virgole, la rigidità di politiche che non hanno nessun valore dal punto di vista accademico e economico si scontrerà con le reazioni nelle piazze.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::2907::/cck::