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La parola di questa settimana è rigore, sembra uscita dai romanzi dell’Ottocento, ma non perde il suo significato: quello del richiamo al rispetto di regole.
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La prima sensazione che si prova dinanzi al vocabolo di questa settimana è certamente quella di un termine desueto, legato al passato e certamente difficile da riproporre oggi, nell’epoca della società liquida e dei comportamenti singoli e individualistici propri di una società dove ogni regola ha le sue debite eccezioni. Una parola, rigore, che sembra uscita dai romanzi dell’Ottocento o passata attraverso le interpretazioni esasperate e tragiche del secolo breve. Ma anche una parola che non perde il suo significato che è soprattutto quello del richiamo al rispetto di regole, comportamenti, atti che danno sostanza alla vita sociale, al contratto che dovrebbe legare tutti coloro che fanno parte di una civile convivenza, che appartengono ad una nazione o ad un consesso di nazioni.
Ecco allora che la desuetudine appare con più chiarezza stante una situazione mondiale e nazionale dove i diritti e le pretese sembrano aver preso ogni posto e cacciato i doveri in un canto. Senza rendersi conto che l’esercizio di un diritto ha senso solo se correlato ad un dovere che è in primo luogo il dovere di rispettare proprio i diritti altrui: è in questo semplice gioco di parole che si sostanzia il vivere sociale, la spinta e la scelta dell’uomo di vivere insieme e che ha prodotto nei secoli civiltà e crescita certo con alti e bassi ma con un filo continuo che è quello di mantenere in equilibrio il difficile bilanciamento tra i due termini e i due valori ad essi sottesi. Non esistono doveri senza diritti e viceversa.
Dunque, rigóre, parola di derivazione latina che indica l’«essere rigido». In senso letterale una rigidità, in senso materiale o ad esempio per il clima e le sue mutazioni come una sorta di sinonimo di freddo. In una accezione più antica si parlava anche dei ridori della febbre ad esempio intendendosi anche la loro manifestazioni, i brividi.
Esiste poi, a livello sociale, la definizione di rigore come severità con cui si esige l’osservanza di una legge, di una regola o di una norma, e che si esercita punendone le violazioni e trasgressioni: così si parla del rigore di un ordine, di un provvedimento, della sua elusione: ossia cercare di evitare i rigori della legge. Il rigore poi può essere usato, esercitato, allentato, temperato, moderato, mitigato, lenito. A dimostrazione delle estrema complessità dei valori che distinguono il concetto ad esso legato.
L’esercizio del rigore porta con sé, ovviamente, il concetto di sanzione, di punizione se quel rigore viene violato, non rispettato. Di qui,le punizioni di rigore come nel regolamento di disciplina militare, punizioni particolarmente gravi. Dove poi il termine la fa da padrone e suscita passioni anche irrefrenabili è nel gioco del calcio dove esiste intanto l’area di rigore, quella nella quale in caso di falli o irregolarità scatta la punizione maggiore, il penalty. Come tutti i tifosi ben sanno indica il rettangolo lungo 40,32 m (cioè 16,50 m a partire da ciascun palo della porta, più 7,32 m ossia la lunghezza della porta stessa), e profondo 16,50 m, antistante a ognuna delle due porte, nel quale i falli della squadra che gioca in quella metà del campo sono puniti con particolare severità; il rigore infatti si può definire con il dizionario come il massimo tiro di punizione accordato dall’arbitro contro la squadra che abbia commesso un grave fallo nella propria area di rigore, tirato da un punto fisso distante 11 m dal centro della linea della porta, con l’area di rigore sgombra.
Ma di rigore si parla anche in termini di etichetta, di moda, di forma legata ad eventi specifici “ di rigore ossia d’obbligo, obbligatorio un certo tipo di abbigliamento ad esempio. Il vocabolo viene poi impiegato nel tempo anche in senso letterario ad indicare durezza, asprezza. O ancora come rigida, stretta coerenza con le premesse, con il metodo stabilito, quindi stando alle premesse, rispettando una rigorosa coerenza logica; a rigor di termini, attenendosi al significato strettamente proprio della parola, dell’espressione.
Insomma un lungo excursus che ai nostri giorni assume nei confronti del nostro paese la forma del rischio di infrazione dell’Unione Europea nel caso di non rispetto del “rigore” nei conti pubblici. Una battaglia che, a “rigor” di logica dovrebbe far parte integrante dell’azione di governo e delle scelte da assumere per l’interesse dell’intero Paese e dei suoi cittadini. Perché questi ultimi sanno bene, pur facendo leva sulle proprie esigenze (ormai esasperati per decenni di lassismo e di violazione aperta della logica) che il rigore è quello che serve. Quando parti della popolazione chiedono il rispetto dei propri diritti lo fanno proprio in relazione al rigore necessario a far si ché vengano rispettati e, difatti, si parla sempre di chi evade, o cerca di farlo, a questo rigore.
E’ quindi paradossale ma non troppo che la ragione del rispetto di un principio di equilibrio e di correttezza sia per così dire in re ipsa, ossia trovi spiegazione nelle regole classiche del buon padre di famiglia, ossia di chi conosce le condizioni oggettive, le risorse disponibili e cerca di soddisfare e contemperare che altro non significa che usare il rigore nella tenuta dei conti economici, nell’uso delle risorse non a vantaggio di questo o quello ma a favore di tutti! Insomma a dispetto della desuetudine e dell’egoismo dei singoli o dei gruppi, è proprio nel rigore, inteso come equilibrio e correttezza che si trova il fondamento di un governo delle cose capace di smussare i dissidi e le differenze.
Una piccola regola alla quale dovrebbero richiamarsi coloro che oggi (ma la regola si traspone pari pari anche al passato recente o remoto) hanno in mano le redini del paese, invece di tirare chi da un parte, chi dall’altra. Richiamare tutti al rigore significa garantire il domani più equo per tutti e non privilegiare ora questo ora quel pezzo di società. Conti in ordine vogliono dire anche risorse da utilizzare a vantaggio della collettività nazionale, del popolo, per usare un termine spesso invocato non sempre a proposito!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::2948::/cck::