La vicenda del voto della piattaforma Rousseau sull’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini per l’episodio della nave Diciotti sono la cartina di tornasole di questo stato di cose.
Un tempo, non lontano, si viveva nella consapevolezza che la volontà della maggioranza dovesse, istituzionalmente, far testo anche per chi dissentiva e dunque il gioco democratico dovesse svolgersi tra le due anime, quella che interpretava il volere dei più, e quella che dava voce a chi non era d’accordo. Con l’implicito corollario che a questa seconda il sistema doveva garantire sempre l’esercizio delle libertà di espressione e critica, sino all’appuntamento elettorale successivo e ad un eventuale capovolgimento di fronti.
Quello che sta accadendo da qualche mese a questa parte con il governo gialloverde ci narra una storia diversa, costellata di episodi quanto meno singolari se non sconcertanti. Sembra che soltanto in pochi tra le centinaia di parlamentari che sorreggono l’esecutivo si rendano conto di cosa voglia dire l’esercizio di quelle libertà e di quelle prerogative che sostanziano un sistema democratico. Questa diversione, questa illogicità appare con sempre più chiarezza nel movimento cinquestelle. Da un lato per l’estrazione non politica dei suoi rappresentanti e per la sostanziale incultura giuridica e politica, dall’altro per la contraddizione sempre più accentuata che caratterizza la dialettica interna (ormai esterna a dire il vero) del fenomeno grillino.
Una forza parlamentare ma non politica, un movimento e non un partito, un gruppo dirigente estratto dalle alchimie del blog delle stelle e prima ancora dalle menti immaginifiche di Casaleggio padre e di Grillo, ed ora invischiato in una vera pastoia senza capo né coda. L’impatto con la realtà del governo del paese e con le complessità anche internazionali stanno facendo mostrare la corda ad un fenomeno sociale e poi politico privo di un tessuto connettivo teorico e pratico dove tutto è liquido, dove nessuna regola vige se non l’assenza di essa. Ecco perché giorno dopo giorno si assiste alla crisi endemica del movimento che appare sempre più dilaniato e non in grado di dare corpo ad una linea politica quanto mai necessaria per affermare le famose linee del cambiamento salvifico sulle quali si è giocato in campagna elettorale e nella formazione del governo.
La vicenda del voto della piattaforma Rousseau sull’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini per l’episodio della nave Diciotti sfociato in un’inchiesta della magistratura e in accuse dei pm al leader leghista sulle quali dovrà decidere in aula il tribunale dei ministri, sono la cartina di tornasole più clamorosa di questo stato di cose. Nessuna criticità precedente, nessun caso Tap o Tav e simili, ha prodotto lo sconquasso al quale si assiste. Il voto di 52 mila iscritti alla piattaforma (una sorta di elite decisioria di un movimento che si picca di combatterle, le elites) quasi al 60 per cento ha negato in sostanza la messa in stato di accusa di Salvini, indicando la strada da seguire nell’ottica sbilenca del movimento ai parlamentari chiamati ad esprimersi negli organismi di Camera e Senato. Si dirà, il popolo si è espresso, questa è la linea e via dicendo! Assolutamente no! Mentre si votava ancora, un nutrito gruppo di sindaci grillini si è espresso contro quella che sembrava la linea prevalente sul blog e con toni tali da rappresentare una vera e propria fronda alla linea del capo politico Di Maio, già alle prese con le incursioni di Di Battista e con le trovate del ministro Toninelli.
Cosa accade allora? Difficile a dirsi proprio per l’assenza di un senso comune della rappresentanza pentastellata in Parlamento e fuori di esso. Il governare, la necessità di comporre e non scomporre, di mediare e di non rompere, in una parola di dover decidere invece di accusare gli altri di non farlo, stanno producendo una miscela esplosiva ad alto rischio. Il movimento appare spaccato in due e con una momentanea prevalenza del gruppo dirigente governativo. Gli sbandamenti oltralpe di Di Maio, i comportamenti eccentrici sulla Tav, gli ondeggiamenti su ogni faldone all’esame dell’esecutivo mostrano con tutta evidenza una crisi strutturale alla quale non sono di aiuto i punti fermi del contratto di governo che tanto fermi non sono apparsi.
A guadagnare in questo stato di cose è certamente il leader della Lega, alleato ineliminabile per i grillini di governo e nello scenario politico privo di alternative, in attesa che le elezioni regionali e quelle europee dicano quale è lo stato di salute della politica italiana ed europea.
I risultati in Abruzzo e il prossimo voto in Sardegna (alle prese con la grana degli allevatori e produttori di latte) ed in Basilicata fotograferanno la realtà. Una realtà che sembra privilegiare Salvini ad ogni sbandamento ed errore degli alleati e che vedono la Lega nei sondaggi ormai partito di maggioranza relativa del governo e anche possibile perno di una soluzione di centrodestra, malgrado le continue rassicurazioni, tra vice premier e mentre il premier assicura la tenuta del governo contro ogni logica (unica attenuante il non essere assolutamente un politico né di vecchia né di nuova estrazione).
Nelle prossime settimane si capirà e si vedrà se la fenditura che si è aperta tra grillini di governo e grillini di movimento diventerà una spaccatura speculare allo sconcerto e allo scontro tra le due anime anche nei territori, quelli dove il vaffa è più facile in teoria e non aiuta la sintesi necessaria per reggere le sorti e le responsabilità proprie dell’onore e dell’onere di essere al governo del paese!
Ultimo dato, l’eclissi e la distanza del guru ormai siderale persino dal blog e dalla piattaforma della Casaleggio che da scrigno dell’autorevolezza del movimento e fonte di ogni riconoscimento rischia di trasformarsi in una delle frazioni di un movimento a rischio deflagrazione.
di Roberto Mostarda