La parola

Ricatto

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La parola, per così dire adatta a quel che avviene in questo momento nel paese a livello di governo e tra alleati di coalizione è tristemente soltanto una : ricatto. La debolezza strutturale dell’alleanza, il marchio originario è quello di avere pensato di coordinare idee, prospettive, scopi politici di due entità eterogenee e con orizzonti divergenti. Meglio ancora, una La Lega con un orizzonte abbastanza definito e personale politico coeso nella realizzazione di esso, l’altra i cinquestelle più che altro una galassia di individualità unite soltanto da due dogmi: il no a tutto e la visione di un paese irreale e non da sognatori!

Il termine scelto dunque. Deriva dall’omonimo verbo del quale costituisce una sorta di sostantivo. Ad esso si collega anche il vocabolo riscatto come anche prezzo del riscatto, ossia la conseguenza logica dell’esercizio del ricatto. Esso si sostanzia in una intimidazione, di carattere materiale o morale, con cui si costringe una persona, un gruppo, a pagare una somma di denaro, o a compiere atti contrari alla sua volontà, ma anche semplicemente si costringe o si cerca di costringere qualcuno a comportamenti condizionati legati alla necessità di ottenere o evitare qualche danno o minaccia. Una delle conseguenze patologiche è quella di trovarsi ricattati e nella impossibilità di opporre un rifiuto. Sia per questioni immediate, sia per questioni di scenario complessivo. In buona sostanza una situazione assolutamente negativa e che non fa onore a chi la pone in essere e offende e aggrava la posizione di chi è destinatario di tale azione.

Una breve digressione per avvicinarci poi alla riflessione che sempre ci accompagna nell’analisi spassionata di quello che ci offre la nostra quotidianità nazionale.

Dopo le prime amorose corrispondenze di inizio legislatura, i proclami di governo di legislatura, di governo del cambiamento, di “non ci lasceremo mai”, quel che sta mutando veramente è il contesto oggettivo dei rapporti dei due alleati gialloverdi.

Entrambi alle prese con un paese che dà qualche flebile segnale sociale di risveglio, i due alleati sono sempre più contendenti sullo stesso paese.

I cinquestelle, al di là della apodittica convinzione di essere unici, stanno diventando ombre di se stessi, unici nel non sapere esattamente cosa sono diventati a contatto con il potere e il governo, quelli della squadra politico-parlamentare, ma anche i duri e puri ancora affascinati dal canto sempre più datato e privo di valore concreto che viene dalla mitica stagione del vaffa perpetuo e dalla voce sempre più contraddittoria con se stesso dello stesso guru. Così tra una battuta e uno sberleffo si sta consumando la stagione governativa grillina evidenziando una divisione sempre più chiara tra chi mira a stabilizzare il ruolo del movimento nelle istituzioni e chi lo vorrebbe invece eternamente ancorato alle parole d’ordine la cui vigenza, icto oculi, è possibile soltanto fuori del recinto del potere, in quelle piazze dove il senso di responsabilità di ognuno è stato sempre sostituito dal vento del “i colpevoli sono gli altri; le responsabilità sono di quelli che stanno o sono stati al potere. Ed ora che la potere ci sono loro? Il peso è tale da non riuscire a reggerlo.

Intanto i cittadini, gli elettori cominciano a chiedere il conto, forse anche prima del previsto ma in linea con le aspettative mirabolanti agitate per anni, e le fortune elettorali sembrano un ricordo del passato mentre immanente è il pericolo di un drastico ridimensionamento.

Più impermeabile il fronte leghista soprattutto per la maggiore assuefazione ai meccanismi amministrativi e di governo di grandi realtà regionali e di sensibilità più marcata su quel che la gente pensa davvero, su quel che vuole chi lavora o vuole lavorare, con il solo limite solipsistico del leader che a volte risulta eccentrico persino per i suoi. Ma la presa sulla realtà è assolutamente chiara e vicina a una quota crescente di cittadini che infatti sembrano intenzionati a favorirne le sorti elettorali.

In questa tenaglia, quel che si manifesta è dunque un gioco a rimpiattino, un rimbalzo e uno scorrere di avvertimenti, stilettate, altolà e altre singolarità del genere, quasi che a fronteggiarsi fossero due realtà una di governo e una di opposizione.

Di qui la sensazione precisa che nell’inconoscibilità sostanziale del famoso contratto dove tutto e il contrario sembrano convivere, il gioco al rimando e l’avvertimento ricattatorio siano ormai strumenti di vita quotidiana. La plastica manifestazione sta nel rimbecco delle dichiarazioni di uno sull’altro, nei richiami al mitico contratto che nessuno conosce ma loro, sembra di sì! E soprattutto nel gioco parlamentare dove gli appuntamenti cruciali per lo stesso esecutivo vengono visti in una logica di baratto: tu dai una cosa a me e io do una cosa a te, altrimenti…! Tutto condito da continui ed elegiaci richiami al “non ci lasceremo mai, dureremo cinque anni, una sintesi si trova sempre e via liricamente così”.

Che cosa centri il paese in questo battibecco, quali suoi interessi vengano difesi e sostenuti, dove sia il punto di equilibrio non è dato sapere. Quel che è certo che il cambiamento di passo, il governo del nuovo sembra sempre più tragicamente simile alle litigiose coalizioni del passato. Quelle però che, al netto di corruzione e tangenti, hanno fatto crescere la collettività per decenni pur accumulando quel debito etico che i nuovi governanti a parole hanno detto di voler pagare con il nuovo! Dove sia questo nuovo però forse non lo sanno neppure loro. Un tragico abbaglio o un tragico imbroglio?

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