Storia

“Bella Ciao”

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simbolo della Resistenza e delle lotte politiche antifasciste,
sembra non sia mai stata cantata dai partigiani

Chi non conosce il canto di “Bella Ciao”, tradotto in decine di lingue e divenuto un canto di protesta contro ogni ingiustizia nel mondo? Possiamo affermare senza tema di smentita che l’inno dei partigiani che combattevano in montagna durante la lotta al nazifascismo è sempre attuale, anche dopo 74 anni dalla fine della guerra.
Un canto bello e commovente, peccato però che non è mai stato l’inno dei partigiani italiani per il semplice motivo che nessuno all’epoca della guerra ancora l’aveva scritta e musicata.
Una fake news dunque d’epoca?
Non osiamo dire tanto, ma cerchiamo di conoscere, pur tra molte contraddizioni, la vera storia, o presunta tale, di quest’inno che non è solo una questione musicale, ma è tutt’ora un simbolo politico importante e come tale va trattato.
Vediamo di capire allora come stanno le cose.
Giorgio Bocca, il grande giornalista e partigiano doc, affermava che “Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto”, (storia quest’ultima che racconteremo più avanti, ndr). Per ironia della sorte ai suoi funerali come omaggio partigiano fu intonato dai presenti proprio questo canto.
Ma come nasce allora questa canzone e perché diventa inno patriottico partigiano?
Dare una risposta esaustiva è praticamente impossibile.
Molti sono coloro che dicono di averla scritta e molte sono le storie che su di essa aleggiano tali da rendere quasi impossibile dividere il vero dal falso.
Un esempio sono l’esercito dei testimoni che molto spesso confondono lucciole per lanterne: c’è infatti chi afferma che lo cantavano le formazioni partigiane in val d’Ossola o forse quelli nelle Langhe del Monferrato, anzi la verità è che la cantavano in Emilia Romagna e addirittura era l’inno della Brigata Maiella.
C’è anche una versione del musicologo Carlo Pestelli che ricorda come il canto era già famoso quando venne presentato a Praga nel 1947 in occasione delle “Canzoni mondiali della Gioventù e per la Pace”, dove un gruppo di ex combatenti dell’Emilia Romagna intonarono davanti ad un pubblico entusiasta che accompagnò tutta l’esibizione con il battito delle mani ritmato sulla musica.
Un momento certamente indimenticabile, peccato che l’Unità il giorno dopo, il 26 luglio del 1947, pur sottolineando tanti episodi dell’evento praghese, anche marginali, non cita questa esibizione italiana che certamente avrebbe avuto un grande significato anche politico.
Ma la storia del canto si fa sempre più complessa se si cerca di andare non più alla guerra partigiana, ma indietro di alcuni secoli, tanto che alcuni affermano che fosse derivata un’antica aria genovese, ma anche una ‘villanella’, genere di canto profano assai popolare del ‘500 e si potrebbe continuare con musiche veneziane o dalmate.
Supposizione forse anche veritiere a cui manca però la prova definitiva.
Miracolosamente abbiamo però una rara incisione solo musicale del celebre canto a 78 giri inciso nel 1919 dal fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff dal titolo “Klezmer-Yiddish swing music”, dunque la musica, o almeno i suoi accordi base, era già conosciuta come di fonte ebraiche dell’Est europeo slavo, un tassello che si inserisce in quello che sarà il canto partigiano per eccellenza come ebbe a dire ancora Carlo Pestelli : “Bella ciao è una canzone gomitolo in cui si intrecciano molti fili di vario colore” solo che l’enigma si infittisce se alla musica aggiungiamo le parole del testo.
Chi ha cercato su Wikipedia l’origine di ‘Bella Ciao’ ha trovato che sul Canzoniere della Lame, un gruppo politico-musicale fondato nel 1967 a Bologna sorto nel quartiere le Lame, ci sarebbe la prova che fosse una canzone partigiana del modenese.
Purtroppo non risulta nulla di tutto questo. Non c’è alcuna traccia dei ‘Bella Ciao’ come canto partigiano. Infatti è vero che tra i combattenti circolavano dei fogli con le canzoni da cantare, ma non si trova mai questo canto e neanche negli anni subito successivi alla guerra né in Canti Partigiani, edito dalla Panfilo nel 1945, e né tanto meno troviamo traccia sulla rivista Folklore che nel 1946 dedica ai canti partigiani due numeri, curati da Giulio Mele ed ancora non c’è traccia nel Canzoniere italiano curato da Pier Paolo Pasolini, lo stesso per la storia partigiana di Roberto Battaglia del 1953 con ampi capitoli dedicati proprio ai canti dell’epoca così come nella successiva edizione del 1964.
In realtà ciò che abbiamo è un articolo del 1953 apparso sulla rivista ‘La Lapa’ dedicato ai canti e tradizioni popolari pubblicato a Rieti, ma sarà solo nel 1955 che ‘Bella Ciao’ sarà inserita nel canzoniere partigiano edito dai giovani del Psi e nel 1957 in una raccolta di canti partigiani edito questa volta dall’Unità.
Nel 1960 in una collana culturale dell’Avanti, il Gallo Grande, si afferma, sempre senza alcuna fonte, che fosse anche una celebre aria cantata dai nostri fanti durante la prima guerra mondiale, ma solo con la guerra di Liberazione ebbe la sua grande diffusione.
Nonostante questa notizia ancora una volta il canto viene però ignorato dalla raccolta di ben 62 canzoni partigiane nel volume canti politici pubblicati nel 1962 dalla casa editrice comunista Editori Riuniti.
Fin qui le varie versioni di un canto dimenticato e idolatrato come pochi, ma c’è anche una storia legata al celebre canto che ci porta al “Festival dei Due Mondi” a Spoleto, già ricordato da Giorgio Bocca.
Nel 1964 a Spoleto, durante uno spettacolo dedicato appunto ai partigiani, Giovanna Daffini, una delle voci più belle del canto popolare italiano e prematuramente scomparsa, presentò la sua versione originale di ‘Bella Ciao’ come canto delle mondine, a cui solo successivamente, durante la guerra, vennero cambiate le parole per farne un canto di guerra partigiana. Il successo dello spettacolo fu grande anche per le due versioni cantate dalla Daffini all’inizio e alla fine dello spettacolo.
Sempre la Daffini due anni prima, presentando il canto a Gianni Bosio e Roberto Leydi, responsabili del Nuovo Canzoniere, raccontò che questo canto lo aveva sentito dalle mondine del vercellese e i due accettarono questa versione solo che come dice un famoso proverbio ‘il diavolo fa le pentole ma non i coperchi’, nel 1965 Vasco Scansiani in una lettera all’Unità rivendicava che il testo fu scritto da lui e dato alla Daffini nel 1951 essendo buoni amici.
Per evitare scandali l’Unità non pubblicò la lettera, ma si sa che ci fu un confronto tra i due dove la Daffini dovette ammettere la verità sull’origine del testo.
Infine, tanto per completare questa querelle, nel 1974 un ex carabiniere, Rinaldo Salvatori affermava in una lettera presso le edizione del Gallo, di avere scritto lui il testo per una mondina, ma di non averlo potuto depositare presso la SIAE a causa della censura fascista.
Potremmo continuare ancora, ma vogliamo concludere ricordando, tra gli altri, Gianpaolo Pansa per il quale il successo di “Bella ciao” – come “inno” partigiano mai cantato – deriva dalla sua orecchiabilità del motivo, dalla facilità di memorizzare il testo e dalla “trovata” del Nuovo Canzoniere di introdurre il battimani creando così una sua immediata fruibilità.

A parte ogni considerazione anche se non sapremo mai chi veramente scrisse il testo di “Bella Ciao” e la musicò realmente, rimane pur sempre un piccolo gioiello della musica popolare italiana cantata in tutto il mondo e tanto ci basta.

In questo numero, due ricerche storiche, tra il serio e il faceto, divertissement, a firma di Riccardo Liberati e Antonello Cannarozzo. La prima, sulla proprietà del territorio degli Stati Uniti d’America, a mente di una antica questione medioevale, superata nei fatti. La seconda che indaga sull’origine di una canto al di là della sua nascita è divenuta molto di più di un canto, un inno non solo italiano, al sentimento di libertà; al diritto e al dovere di ciascuno di battersi, anche a rischio della vita, per la liberazione da ogni forma dittatoriale.

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