Propositi, minacce e speranze
Tutti cadono dal pero. Da chi si meraviglia a chi si indigna. Le vesti stracciate dai più per la decisione di Matteo Renzi di uscire dal PD e formare un nuovo soggetto politico, movimento o partito che sia, sanno un
po’ di ipocrisia. Per più ordini di fattori.
Primo, perché era nell’aria; era noto all’interno del PD, e stanti le comunicazioni trasversali che governano il mondo politico, era noto sia alle altre componenti di questo governo, che agli altri. Sarebbe anzi grave che il premier non se ne fosse accorto.
Secondo, perché era nella natura delle cose e nella logica degli equilibri, o meglio dei squilibri, sia propri del PD, sia dei rapporti tra i renziani e le altre formazioni politiche che sostengono il governo, interne, esterne e
attigue al PD. Non è un segreto per nessuno quali fossero i sentimenti del Movimento 5 Stelle e di LeU nei confronti di Renzi, né quali quelli delle altre correnti del PD, peraltro, giusto o sbagliato, minoritarie rispetto
ai renziani.

Terzo, perché il PD ha da tempo un problema identitario e la componente renziana si differenzia per modo di agire e contenuti da quella storica (ex comunista), da quella moderata (liberal) e da quella cattolica (di sinistra).
Quarto, perchè l’accordo tra M5S e PD (primo tra tutti proprio Renzi) che ha permesso l’esistenza del governo Conte bis fonda sull’interesse prevalente del Paese e degli Italiani su quelli di parte e di diversa ispirazione ideologica o politica.
Quinto, perché malgrado Zingaretti abbia fatto e faccia del suo meglio il PD per riunire il partito, questo resta innegabilmente diviso al suo interno a causa della pluralità delle correnti; e a quanto pare queste, grazie ai ripensamenti di chi diceva di essersi messo da parte e ora si accinge a rientrare, sembra siano destinate ad aumentare. La forza di Zingaretti, al di là della sua bravura, poggia sopratutto sulla sua debolezza.
Sesto, perché la c.d. “renzata”, da un lato, fonda sulle caratteristiche genetiche dei suoi elettori e sul loro sentimento rispetto ad un governance interna al PD che non corrisponde al loro voto; dall’altro, è l’esercizio
di un diritto che non è una novità per l’Italia e che è stato più volte esercitato nella storia del Paese.
E potremmo proseguire all’infinito. Ma il punto è un altro. Ciò che è legittimo chiedersi e che il Paese desidera sapere è se il sostegno promesso da Renzi al governo Conte è sincero ed è duraturo. E soprattutto, è attendibile o sottintende una minaccia?
Le congetture al riguardo servono a poco.
Certamente il sostegno dei renziani sui temi e programmi concordati non dovrebbe venire meno. Quanto al resto dipenderà dai comportamenti di ciascuno e dagli equilibri che si andranno a creare sui singoli problemi.
E le esplorazioni avviate da Conte per contenere l’onda renziana (come quella con Letta di cui si parla) ci devono mettere in allarme.
Il risultato lo vedremo nel tempo nei fatti.
Ciò che è indiscutibile è che il Paese ha oggi un governo più presentabile e più affidabile di quello di ieri, con una maggioranza più estesa, grazie al contributo di tutti coloro che hanno permesso a questo governo di esserci; e in particolar modo Renzi.
Ed è indiscutibilmente positivo che nel Paese si ritorni a parlare di politica e di confronto tra le parti.
Anche se non so cosa ci si possa attendere, al di là dell’effetto mediatico, da incontri quali quello tra Matteo Salvini e Matteo Renzi appena preannunciato a Porta a porta da Vespa.
L’intero argomento viene sapientemente analizzato da Roberto Mostarda nell’articolo a latere “L’incredibile evoluzione verso la nuova maggioranza. La sfida renziana”.