La questione iraniana e’ stata al centro dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite apertasi lunedì scorso presso il palazzo di vetro di New York. Dopo lo spettacolare attacco effettuato da droni di ultima generazione nei confronti di due importanti istallazioni petrolifere in Arabia Saudita, un’azione la cui matrice e’ ancora avvolta nel mistero, visto che inizialmente i micidiali dispositivi senza pilota sarebbero stati accreditati ai ribelli yemeniti Houthi salvo poi, secondo una ricostruzione fornita dalla CNN, farli ricadere sotto la diretta responsabilità di Teheran; il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha ammorbidito i toni, dicendosi disposto a discutere un piano che consenta di disinnescare la tensione nella strategica regione del Golfo Persico. Un’apertura che sta facendo discutere i più importanti leader mondiali, a cominciare dal Presidente statunitense Donald Trump. Il leader americano, dopo aver silurato il suo principale stratega in politica estera, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale e super falco John Bolton, intenzionato ad uno scontro totale con l’Iran, sembra dare credito alla proposta del suo omologo di Teheran, consapevole che una guerra aperta con il regime degli Ayatollah scatenerebbe un mare di tensioni politiche ed economiche che destabilizzerebbero gli equilibri planetari. Un pragmatismo insolito per un uomo decisionista come Trump, che pero’ ha ben chiare le implicazioni che avrebbe un coinvolgimento del proprio esercito nel più popoloso paese del Medio-Oriente. I timori maggiori riguarderebbero in particolare il prezzo del petrolio perché, con l’attacco agli impianti petroliferi in territorio saudita, è emersa palese la strategia iraniana; cioè strozzare il maggiore corridoio mondiale di approvvigionamento di greggio a cominciare con la chiusura dello stretto di Hormuz. Per ora dunque Washington si è limitata ad incrementare le forniture militari al Regno Saudita, dotandolo di sistemi anti missile di ultima generazione e facendo stazionare stabilmente la Quinta Flotta americana nelle acque del Golfo Persico. Una strategia che va di pari passo con l’aumento delle sanzioni economiche ai danni dell’Iran, anche se quest’ultimo paese può contare sulla sponda russa ed in parte cinese. Il gigante asiatico infatti continua ad essere il maggiore acquirente del petrolio prodotto dai giacimenti controllati da Teheran, rendendo dunque il blocco americano parzialmente sterile. Anche l’instabilità politica israeliana sta contribuendo a creare un quadro particolarmente indecifrabile nella regione. Se, come sembra essere dalle ultime consultazioni seguite alle elezioni politiche svoltesi la scorsa settimana, a guidare l’esecutivo di Gerusalemme sarà l’ex generale Benny Gantz, appoggiato dai deputati arabo-israeliani, difficilmente lo Stato Ebraico si imbarcherebbe in un’azione diretta contro il regime degli Ayatollah, privando il fronte dei falchi anti iraniani di un attore decisivo in caso di conflitto.
di Diego Grazioli