Altri esseri nell’universo? È come vincere una lotteria
Si racconta che un giorno, Edward Teller, il futuro ‘padre’ della bomba H ed Enrico Fermi, passeggiando nei giardini di Los Alamos dove stava per essere messa a punto la prima arma atomica della storia, discutevano sul problema degli extraterrestri.
La discussione proseguì a mensa e diversi altri scienziati presero parte alla chiacchierata che presto divenne piuttosto animata.
Fermi restava in silenzio ascoltando le varie opinioni, poi d’un tratto alzò la testa e disse: “Allora, dove sono?”
La frase divenne nota come ‘paradosso di Fermi’. Nonostante la sua apparente banalità il significato è inequivocabile: come facciamo a parlare di qualche cosa di cui non esistono le prove?
E di più: se gli alieni esistono perché non entrano in contatto con noi?
Il 24 giugno del 1947 iniziò la grande stagione degli UFO e da quel giorno il dibattito sulla possibile esistenza di civiltà extraterrestri prosegue in maniera sempre più serrata.
La convinzione degli scienziati è che la probabilità di trovare altre forme di vita su altri pianeti è molto elevata.
Soltanto nella nostra galassia esistono circa cento miliardi di stelle e nell’intero universo, centinaia di miliardi di galassie.
Ammettendo che la percentuale di stelle attorno alle quali ruotano pianeti adatti ad ospitare la vita, sia anche dell’uno su un milione, il numero totale di possibili pianeti abitati sarebbe elevatissimo.
Ma qui sorge un problema. Il fatto che una forma di vita si possa evolvere laddove le condizioni siano favorevoli alla sua nascita ed al suo sviluppo non implica necessariamente che questa forma di vita debba evolvere verso un essere intelligente.
Recentemente ci si sta convincendo del fatto che sulla superficie marziana potrebbero esistere dei microorganismi e quindi la vita, ma un microorganismo ha un problema: non è intelligente. Il dibattito scientifico si sposta quindi su un altro piano: quanto è probabile che nell’universo esistano altre forme di vita capaci di ragionare astrattamente?
Negli ultimi anni, fisici e biologi hanno prodotto alcune pubblicazioni al riguardo ed i risultati sembrano indicare che potremmo essere, se non l’unica forma di vita, quanto meno l’unica intelligente. In parole povere, nel nostro universo potremmo essere terribilmente soli.
Potremmo trovare altri esseri viventi più o meno evoluti, ma nessuno con cui fare due chiacchiere.
L’argomento, ridotto all’osso è piuttosto convincente: ammettiamo che l’intelligenza sia il prodotto di pochi fattori tutti altrettanto improbabili, la probabilità che questi si verifichino tutti contemporaneamente su un pianeta abitato è bassissima.
Per fare un esempio: supponiamo che l’intelligenza nasca laddove si verifichino sette fattori evolutivi coincidenti, ciascuno con probabilità dell’uno per cento.
La probabilità che si verifichino tutti è di uno diviso centomila miliardi, cioè un numero spaventosamente piccolo.
D’altro canto, un fatto è certo: in miliardi di anni, l’evoluzione ha prodotto sul nostro pianeta un solo essere dotato di capacità raziocinanti: l’uomo.
Il che equivale a dire che l’evoluzione non è così propensa a produrre esseri in grado di scrivere la divina commedia o di formulare la teoria della relatività. Un biologo evoluzionista, Nick Longrich dell’Università di Bath, sostiene che la vita si è sviluppata una sola volta sulla terra e questo significa che è un evento assolutamente raro.
Non solo, ma l’intelligenza è il prodotto di quello che Longrich definisce ‘evoluzione convergente’, un fenomeno infrequente e che non necessariamente porta allo sviluppo delle facoltà intellettuali.
Queste sarebbero quindi, da un punto di vista evolutivo, una sorta di vincita ad una super lotteria.
Se tuttavia una forma di vita dotata di facoltà intellettuali elevate dovesse essersi sviluppata altrove, questo ‘altrove’ potrebbe essere talmente distante da noi da fare in modo che la nostra specie non potrebbe mai entrare in contatto con l’altra.
Anders Sanberg, Eric Drexler e Toby Ord dell’Università di Oxford, hanno
pubblicato su ArXiv uno studio in cui affermano che, alla luce delle nostre conoscenze attuali, la probabilità che l’umanità sia sola è abbastanza elevata.
Ovviamente, il fatto che una cosa sia improbabile, non implica che non sia possibile, ma mentre fino a qualche anno fa si dava quasi per scontato che lì fuori ci fosse qualcuno, adesso ci si sta convincendo che le cose forse non stanno proprio così.
A questo punto sorge spontanea una domanda: come mai in un universo così sterminato, siamo gli unici a pensare astrattamente?
Ammesso che siamo il prodotto di una mente creatrice, non è uno spreco darci un universo così enorme in cui vivere?
Secondo alcuni filosofi e scienziati, l’uomo è l’occhio dell’universo, un occhio con cui esso osserva sé stesso.
C’è una finalità in tutto ciò?
A questa domanda, filosofia e scienza non saranno probabilmente mai in grado di rispondere.
Una cosa è certa: se siamo gli unici esseri pensanti in un universo sterminato, la nostra specie è estremamente preziosa e quindi dovemmo cercare di conservarla il più a lungo possibile.
di Riccardo Liberati