La parola

MEMORIA

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La parola della settimana

Il primo dovere, dinanzi a tragedie dell’umanità come la Shoah – come di fronte ad ogni forma di annientamento di un popolo sull’altro, di un individuo sull’altro – è mantenere vivo il riferimento a quanto accaduto, raccontare, tramandare, trasmettere, mantenere vivo e vitale il flusso dei fatti, delle circostanze, delle persone contrastando l’inevitabile distanza che il tempo frappone nelle menti delle generazioni che seguono. E allo stesso tempo evitare che tutto si riduca a forme rituali, codificate di semplice rappresentazione senza coscienza critica, senza arricchimento che deriva dai percorsi di quanti ancora hanno nelle loro vite il segno di quanto accaduto, impedendo ogni uso politico della tragedia che trascende ogni posizione particolare. E, soprattutto, trarre da quel che è avvenuto il solo e fondante monito: che non si debba mai più ripetere e che ogni atto dell’uomo contro un suo simile basato sulla sopraffazione e sulla violenza, ogni disegno egemonico di un popolo nei confronti di altri, ogni teorizzazione della supremazia trovi nella conoscenza della storia, delle vicende accadute l’antidoto al rischio che tutto possa ripetersi pur in condizioni e circostanze diverse. E’ la lezione che ci ha consegnato Hannah Arendt con l’espressione “banalità del male”, descrivendo minuziosamente l’ossessiva precisione con la quale i gerarchi nazisti teorizzarono, programmarono e portarono ad esecuzione come un semplice lavoro fatto di efficienza e puntualità il più spaventoso affronto all’intera umanità. Una banalità che rischia di affacciarsi ogni volta che si tenta di ridurre a qualcosa di comprensibile, analizzabile quanto accaduto, banalizzandolo appunto, quasi potesse essere definito un accidente della storia, la conseguenza di una serie di circostanze e non per quel che è stato: un raggelante corto circuito delle coscienze capace di coinvolgere e anestetizzare un intero popolo, un’intera generazione!
Al di là di commemorazioni e riti, è questo il senso della memoria, il dover ricordare a noi stessi, ogni giorno, ogni istante, in ogni attimo di vita sociale, di rapporto con gli altri, quanto è labile, poroso, il limite che separa dalla barbarie, dalla violenza, che si nutre di ogni incomprensione, di ogni quivoco, la deriva quasi semplice, banale del definire qualcuno in qualche modo, frutto di sentito dire, di facili generalizzazioni, di categorie fruste e trite, ma semplici in modo disarmante per deresponsabilizzare le coscienze dal loro estendersi a macchia d’olio nell’indifferenza e nel sonno della ragione.
Perché tragedie immani, indicibili come la Shoah, se si dimentica il come, il perché, oltreché il quando, costituiscono un pericolo ricorrente nella storia dell’uomo. E se la particolarità che ad essa si annette, l’unicità nella genesi e nel pratico svolgersi, non viene indicata e fissata senza retorica, come uno spartiacque senza ritorno. Solo da qui si può continuare e creare anticorpi a difesa. Per farlo è necessario conoscere, senza riserve quanto avvenuto, raccontare senza veli da cosa tutto si è generato, perché si sia trasformato in una tragedia per le vittime e in una mostruosa condanna degli abissi cui può giungere la mente umana. Perché è solo nell’assenza di coscienza, nella repressione dei sentimenti di solidarietà umana, nell’esaltazione della differenza tra uomini purtroppo presunta e non reale come la storia insegna, nell’ergersi a giudici degli altri con riferimenti alla religione, alla cultura, all’etnia, e via dicendo in una orribile sequela di ovvio e banale, che si nasconde il germe, il rischio della ripetizione, dalla piccola comunità in cui si vive, alla grande realtà internazionale.
Lo scorrere del tempo fa venir meno il racconto, la memoria di chi è sopravvissuto, e proprio per questo occorre non semplificare, non ritualizzare, non dare per scontato di essere sempre dalla parte giusta, ma continuare a rafforzare, a promuovere la conoscenza, contrastare revisionismi di ciò che non può essere revisionato e che la storia ci ha consegnato: luoghi, documenti, foto, scritti, oggetti e racconti. Tenendo conto di un altro elemento insostituibile, la capacità di guardare a quanto accaduto inserendolo nel contesto storico e politico nel quale si è generato e tuttavia identificando quelli che sono elementi innegabili della mente umana, per capire, avvertire, identificare ogni segnale di pericolo.
Nella società del web, dove l’apparente eccesso di democrazia e di informazioni nasconde ad ogni passo il rischio di omologazione, di non saper distinguere il vero dal falso, con il nefasto risultato che troppa informazione sia in realtà nessuna informazione, lo spettro del passato rischia di non essere avvertito e le coscienze sopite dal più micidiale dei pericoli sempre immanenti nella vita umana: quella di credere acriticamente a qualcuno, di affidarsi senza difese a parole, slogan, di identificare una guida, un “guru” alle cui farneticazioni abbeverarsi in un processo di distacco dalla propria, unica ed originale capacità di pensare, capire, distinguere. In quella banale e pure raggelante verità che si nasconde dietro ad un espressione che solo in apparenza appare scontata: il sonno della ragione genera mostri! Mirabilmente delineata nel quadro di Francisco Goya e il cui messaggio è che solo l’equilibrio instabile eppure necessario tra fantasia e realtà impedisce che l’una o l’altra possano prevalere con conseguenze disastrose per il genere umano!

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