La vita e la morte vanno contestualizzate
Sono tornato recentemente dal Messico. Precisamente sono atterrato a Roma con un aereo proveniente da Cancun il 17 febbraio, un mese fa. Solo 30 giorni, ma da allora sembra di essere entrati in un’altra era. L’era della paura, delle limitazioni, del blocco degli spostamenti, dello stare in casa. L’era del Coronavirus. Con l’Italia in prima linea nell’affrontare questa tremenda epidemia, il mio pensiero va spesso alle persone che ho incontrato laggiù, nel paese delle rivoluzioni e dei sombreri. Con alcuni di loro ho instaurato un’amicizia che mi porta a comunicare spesso tramite WhatsApp. Come state? Bene mi rispondono. Quanti sono i contagi registrati in Messico? Non lo sappiamo, il Governo comunica solo parzialmente alla popolazione i dati della diffusione dell’epidemia. Avete paura che si stia sottovalutando il problema? Quale problema mi rispondono, il Coronavirus? Rimango perplesso, questa maledetta epidemia da giorni e per mesi ancora nel nord dell’equatore, si staglia nella mente di ognuno, cambiando radicalmente abitudini, pratiche quotidiane, rapporti sociali. Allora la mia curiosità di quello che accade in quel meraviglioso paese si fa più tagliente. Scusate ma la gente non ha paura di morire? La gente muore e tanta ma non di Coronavirus mi rispondono, la vita e la morte in un paese povero e potenzialmente ricchissimo come il Messico hanno un altro valore. A questo punto i più avveduti ed informati mi snocciolano i dati. Dall’inizio del 2020 i morti ammazzati sono stati 96 al giorno, 4 ogni ora, facendo un calcolo cinico da gennaio ad ora, 17 marzo 5 PM, sono stati 7392. Non è stato però il Coronavirus a portarli via, è stata la guerra tra bande di narcos che sta dilaniando il paese. Dalla cattura nel 2015 di Joaquin Guzman Loera detto “El Chapo”, presunto capo del cartello di Sinaloa, l’organizzazione criminale più potente al mondo (in realtà il vero leader è Ismael “El Mayo” Zambada come ci spiega il meraviglioso libro di Anabel Hernandez, El Traidor), il Messico è diventato il principale terreno di scontro per il lucroso commercio di sostanze stupefacenti che dall’America Latina invadono gli Stati Uniti ed il resto del pianeta. Un conflitto senza esclusione di colpi che sta mietendo molte più vittime che il Coronavirus. Una sintesi della guerra sarebbe impossibile. In poche parole (sempre scandite dagli amici messicani) la situazione al momento è questa. Da una parte il Cartello di Sinaloa che può contare sull’appoggio di funzionari dello Stato corrotti (non solo messicani) e su varie famiglie criminali, la più potente delle quali è il CJNG, il Cartello di Jalisco Nueva Generation guidata ferocemente da Nemesio Oseguera Cervantes detto “El Mencho”, e dall’altra una miriade di bande di piccola caratura ma altrettanto efferate, composte soprattutto da giovanissimi ammaliati dai soldi che il traffico di droga porta nelle loro tasche. Un’anarchia criminale che, con le sue pallottole, sta incendiando i polmoni di migliaia di cittadini ben più di quanto stia facendo l’epidemia di Coronavirus nel resto del pianeta. Per questo motivo la giusta percezione di paura ed impotenza che sta attanagliando mezzo mondo va contestualizzata a seconda delle aspettative di vita e di morte che ogni Continente definisce in base ai propri standard. I poveri sono da sempre abituati alla fine, noi i cittadini delle nazioni ricche (ex?) no, ed è questo che fa la differenza.