Attendendo la decisione del Governo riguardo al varo definitivo della cosiddetta Fase 2, attualmente prevista per il 4 maggio, la conta delle vittime e dei nuovi contagiati continua a far registrare numeri preoccupanti, seppur in discesa rispetto ai picchi di inizio marzo. Secondo il bollettino redatto dal Dipartimento della Protezione Civile e dal Ministero della Salute, dall’inizio della Pandemia in Italia ci sono stati oltre 180mila contagiati, di questi 47mila sono guariti mentre quasi 24mila persone hanno perso la vita. Una strage che si è abbattuta soprattutto nelle regioni del nord Italia, con la Lombardia in cima a questa triste lista. Molti nuclei familiari, soprattutto nelle provincie di Bergamo e Brescia, hanno dovuto piangere la perdita di un proprio caro o di un vicino che fino a pochi mesi condivideva la vita della comunità. Eppure, proprio dalle zone più colpite del paese si sta levando forte l’invito a ripartire, a tornare nei luoghi di lavoro, unico rimedio per ridare linfa ad un tessuto economico colpito al cuore dalle conseguenze del Covid-19. Alfieri di questo auspicio per una ripartenza veloce sono i Governatori di Lombardia e Veneto Attilio Fontana e Luca Zaia, quest’ultimo particolarmente determinato a consentire la riapertura delle fabbriche con tutte le possibili precauzioni del caso: mascherine, distanza di sicurezza, massima cautela nel maneggiare merci e prodotti realizzati e naturalmente un’autocertificazione che attesti il rispetto delle norme. Le imprese del Nord rappresentano la spina dorsale del sistema industriale italiano, producendo oltre la metà del PIL nazionale ed un’eventuale proroga delle misure restrittive rischierebbe di deprimere a tal punto l’economia da spingere molti amministratori alla decisione di derogare al lockdown che dal 7 marzo ha compresso, la vita della nostra nazione. Le parole d’ordine sono dunque convivere con il virus, in attesa che gli scienziati mettano a punto un vaccino. Un auspicio che, secondo le organizzazioni sanitarie e i laboratori che stanno sperimentando eventuali cure, si potrà concretizzare solo a fine anno se non in quello successivo. Una tempistica troppo lunga e irta di incognite che sta spingendo i governi nazionali e regionali ad adottare strategie di contenimento senza un blocco totale del sistema produttivo. Un’analisi costi/benefici che stanno definendo tutti i paesi afflitti dalle conseguenze di questa pandemia. In Svizzera addirittura la filiera economica non si è mai interrotta. Il paese elvetico è, dopo l’Italia, quello che ha fatto registrare il maggior numero di contagiati da Coronavirus rispetto alla popolazione. Nonostante questo le autorità hanno deciso di fermare solo le attività non essenziali. Una protocollo molto simile a quello adottato dalla Germania, che ha saputo bilanciare i danni prodotti dalla pandemia con le esigenze del sistema economico. Decisioni figlie di una mentalità culturale diversa da quella che contraddistingue i paesi latini, più propensi all’empatia, al contatto fisico, al supporto intergenerazionale e dunque meno predisposti alle regole del distanziamento sociale che, per essere imposto, ha avuto bisogno di decisioni draconiane adottate dalle autorità e che ora, a distanza di un mese e mezzo dalla loro necessaria attivazione, hanno logorato buona parte della popolazione anche a causa della pessimista percezione delle conseguenze economiche del prossimo futuro. Tra la mentalità teutonica e quella latina c’è poi il caso mediano della Francia. In una conferenza stampa tenutasi domenica scorsa il Premier Edouard Philippe ha parlato di un allentamento del lockdown per la fine del mese di aprile, specificando però che in quella data non si avrà il ritorno alla piena normalità ma solo un alleggerimento del “confinement” per consentire alle imprese di ripartire. Una posizione simile a quella italiana, anche se lo Stato francese ha assicurato una rete di protezione ai propri cittadini in difficoltà molto più endemica di quella che si può permettere l’Italia. Sono i giorni dell’emergenza e della pianificazione e in questo la Francia però non ci assomiglia. Aldilà delle Alpi la centralizzazione dello Stato è storicamente più solida e il debito pubblico più sostenibile, da noi invece si sta andando in ordine sparso con mille problemi da risolvere ed un assetto istituzionale da riformare.