Cronaca

Verso la fase due, ma per andare dove?

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Interventi europei, divisioni interne, lo stress del paese

Quello che attende e che ogni giorno chiede il Paese – condizione che peraltro accomuna quasi l’intera comunità mondiale – è di avere indicazioni precise e chiare su che cosa accadrà domani, quando il contenimento della pandemia avrà prodotto l’effetto sperato e pur convivendo con il virus in attesa di un vaccino, potremo riprender la nostra vita. Non quella normale di una volta, ma quella consapevole del dopo la tragica battaglia contro il nemico invisibile eppure così concreto.

Dopo la stagione della chiusura totale, quella della richiesta di rispetto delle misure precauzionali, quella delle decisioni autoritative, in ossequio alla dichiarazione dello stato di emergenza, seguendo le indicazioni della comunità scientifica, per il governo si pone il dilemma delle decisioni da prendere sia per riavviare il sistema sia per rimettere la nazione in piedi dopo una prova epocale. Il principio che tutti ci ripetiamo è che nulla sarà più come prima, che dovremo vederci in una società che pensavamo ormai assodata pur con le sue criticità e le tante carenze. Il virus nella sua potenza ci ha condizionato e ci condizionerà in futuro, anche se scopriremo come e perché si è determinato, come e perché si è diffuso a macchia d’olio nel mondo, come e perché ha colpito il nord del paese e meno il sud. O ancora riusciremo a capire se tutte le scelte sono state fatte nei tempi dovuti o qualche ritardo ha influito sugli avvenimenti. Del resto, guardando agli altri paesi colpiti si comprende che cosa ha prodotto il disastro in ognuno dei casi più eclatanti ma, questo, per noi non deve essere un mal comune mezzo gaudio, se ci è consentita un’espressione che a confronto con la tragedia che viviamo è certo inadatta. 

La pandemia, come dice la stessa parola, ci ha tristemente accomunati nel dolore, nella sofferenza, nella perdita. Il mondo è segnato da tutto questo. Una minaccia immaginata, paventata in molti scenari è avvenuta, molto prima di quando si riteneva e malgrado piani immaginati, preparati, previsti, ci ha colti impreparati e quasi inermi. Solo il coraggio e il sacrificio di chi ci ha protetto e curato, ci permette di pensare a cosa fare guardando al futuro.

In questo futuro, guardando non per limitarci ma perché è alla nostra Italia che dobbiamo per prima dare sostegno e aiuto, che cosa ci dobbiamo aspettare? Le risposte sono tutte e solo finanziarie o non siamo dinanzi a qualcosa che dovrebbe farci riflettere con onestà intellettuale sulla società da ricostruire e migliorare?

È la domanda che, ancora in quarantena nazionale, che però tutti gli italiani, donne e uomini, si stanno ponendo. Il paese ha reagito con straordinaria compostezza e dignità alla tragica evenienza, il popolo italiano si è comportato in modo esemplare raccogliendo l’ammirazione di gran parte del mondo, molti stanno cercando di seguire quanto da noi fatto per contenere e combattere contagio e conseguenze.

Ora, stiamo lentamente, impercettibilmente cominciando a muoverci verso il dopo, a cercare di raggiungere quella luce in fondo al tunnel. Ma che cosa ci aspetta. Chi ci ha condotto sino ad ora è nelle condizioni di riavviare il Paese. Le circostanze eccezionali richiedono risposte eccezionali. È quello che sta accadendo? Sinceramente sembra proprio di no. Nessuno ha pensato, concepito, immaginato un’unità di intenti e di azione. Nel paese la solidarietà è esplosa in mille rivoli, l’aiuto reciproco è divenuto normale, il rispetto dell’altro quasi naturale, la sensazione di voler recuperare, riprendersi e guardare avanti, palpabile tra la gente smarrita ed incredula per quanto accade intorno.

Il grande buco nero in tutto questo è rimasto quello di prima: la politica. È duro da ammettere ma quello al quale assistiamo non è all’altezza della crisi. Il governo, il premier, sembrano dimenticare come questo esecutivo è arrivato a Palazzo Chigi, nell’ordinaria confusione politica del prima. Di fronte alla pandemia scelte e comportamenti sono stati mediamente corretti e all’altezza, ma con una sensazione di attività notarile, di troppo normale. Nessun pathos dinanzi alla tragedia di decine di migliaia di persone. Mentre le urla di dolore si levavano dai reparti ospedalieri al collasso, dai volti dei malati emaciati, da quelli disfatti di medici e infermieri con la faccia segnata dalle mascherine, dalle file di camion militari carichi di bare in un lugubre corteo rotto solo dal cordoglio di quei giorni in divisa, unico conforto per chi se andava e per le loro famiglie, grida e proclami politici parlavano del consueto scontro tra maggioranza e opposizione, tra noi e loro.

Il governo ha provato a governare da solo, l’opposizione ad attaccarlo da sola, il Parlamento sullo sfondo così come la sovranità popolare di cui dovrebbe essere espressione. La riprova nell’ordine sparso delle amministrazioni regionali, nella riottosità dinanzi alle indicazioni da Roma. Forse un elementare senso di solidarietà comune, di valore nazionale della prova, avrebbe consigliato di accettare un impegno più ampio per una sfida che non ha conosciuto confini né regionali, né nazionali. E il paradosso è che anche l’Unione Europea è sembrata contagiata dallo stesso “virus” italiano: divisione e riottosità.

Ora però che Bruxelles ha cominciato a reagire, che l’impegno unitario appare il solo in grado si salvare tutti e che la potenza politica e finanziaria comune può con strumenti eccezionali portarci fuori da una situazione eccezionale, anche da noi dovrebbe percepirsi questo spirito comune, quell’unità di fondo che caratterizza una nazione, un popolo!

Il quadro purtroppo non aiuta. L’esecutivo e il premier vanno per la loro strada, l’opposizione per la sua. Mentre si avvia la cosiddetta fase due, quella che dovrebbe portarci fuori dal tunnel, quella nella quale si dovranno gestire flussi finanziari imponenti e mai visti dal dopoguerra, la sensazione di inadeguatezza è palpabile. Di questo momento si ricorderanno soprattutto le frasi di accusa scomposta del premier nei confronti dei leader dell’opposizione e le richieste di dimissioni di questi ultimi nei confronti dell’esecutivo e del premier. Non proprio quello che servirebbe ad un paese per guardare avanti e fidarsi di chi è alla guida. Come sempre la fiducia nel popolo italiano e nella sua capacità di saper scegliere ci dà una speranza. Dopo errori, funambolismi, “grillismi” vari, forse è giunto il momento di fare qualche scelta di stabilità per il paese. Ovvero tornare alle cose concrete, senza esperimenti! Altrimenti il domani sarà cupo!

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