E’ difficile decifrare in modo completo e ragionato quel che accade nella società, nella mente dei cittadini, nelle formazioni sociali in questa stagione della pandemia. Un virus, un qualcosa di inanimato sta producendo nella nostra vita quotidiana una serie di evoluzioni, involuzioni, cambiamenti di portata ancora tutta da valutare. Decenni di contrasti sociali, di lotte ai limiti della democrazia, di battaglie per i diritti e per i doveri, non ci hanno preparato e forgiato ad affrontare quello con il quale ci stiamo misurando da quasi un anno.
E’ qualcosa di impalpabile eppure profondamente incisivo nel nostro modo di essere, nel nostro stesso equilibrio psichico. E’ come se improvvisamente ogni schema sia saltato e ogni tentativo di ricostituirlo anche modificato, sia destinato se non al fallimento almeno ad un consistente ridimensionamento. Dunque quello che descriviamo è qualcosa di non conosciuto ma che nella prospettiva storica o sociologica, può definirsi con il termine diṡàgio. Letteralmente la parola è composta da un prefisso “dis” che indica qualcosa di negativo di cui si è privati e da agio, che indica comodità, star comodo, trovarsi bene. O ancora facoltà, opportunità. Al plurale indica l’insieme delle comodità della vita, il benessere materiale, e il piacere che se ne ricava.
E’ di tutta evidenza che in questi mesi di pandemia la condizione umana, al di là delle pesanti questioni sanitarie, si stata segnata e continui ad esserlo da uno stato di profonda mancanza di serenità, di riferimenti capaci di trasmettere equilibrio, e sempre di più si avverta la mancanza di prospettiva a medio e lungo termine. E’ come se si fosse attanagliati in un continuo presente che non intende passare.
Di qui lo stato di disagio, appunto, la impossibilità di darsi delle indicazioni positive, la sensazione di doversi guardare, difendere da chi ci circonda nell’ancestrale e corticale reazione ad una possibile istintiva minaccia. Uno status che rischiando di protrarsi apre la strada ad un progressivo indebolimento della coesione sociale con tutti i pericoli di scollamento che questo comporta.
Non è certo sfoggio di analisi sociologiche di fronte alle gravi forme di protesta avvenute in diverse città – tutte certamente coordinate e guidate da forme di esasperazione ed estremismo – immaginare che forme di protesta possano aumentare e manifestarsi diffusamente. E questo perché al disagio rischia di sommarsi un sentimento crescente di impotenza di fronte alle difficoltà crescenti e alla lentezza dei rimedi adottati. E da questo sentimento potrebbe prodursi in modo sempre più ampio una reazione di rabbia, ovvero di irritazione violenta prodotta dal senso della propria impotenza o da un’improvvisa delusione o contrarietà, e che esplode in azioni e in parole incontrollate e scomposte secondo quanto riporta il dizionario.
Rabbia può anche significare in modo appena più attenuato impazienza stizzosa e seccata, disappunto vivo e dispettoso per essere costretto a fare ciò che non si vuole o per non aver ottenuto ciò che si voleva. Da questo potrebbe discendere un passo successivo, con accanimento nel fare o volere qualche cosa. E nel nostro caso potrebbe trattarsi soprattutto di azioni contrarie alle disposizioni cogenti e alle misure di sostanziale confinamento che i cittadini sono costretti a subire e con le quali debbono misurarsi senza intravedere una fase di mutamento senza probabilità di uscita.
Il nostro paese ha saputo affrontare con grande forza e coerenza la prima fase della pandemia e il lockdown che per quasi cinque mesi ha condizionato la nostra vita, bloccato il sistema economico e produttivo, spezzato catene di solidarietà, rapporti familiari e sociali, limitato fortemente l’esercizio di diritti sino a prima ritenuti normali e scontati. La capacità di farci forza reciprocamente ci ha fatto ammirare nel mondo e molti paesi hanno assunto iniziative simili alle nostre per affrontare la crisi. Oggi, di fronte a quella che viene definita seconda ondata qualcosa sembra essersi rotto, si è spezzato quel clima nazionale di paese alle prese con un pericolo comune. Sono riapparsi i distinguo, i particolarismi, gli egoismi che ci rendono deboli e incapaci di risolvere i nostri eterni problemi e ritardi.
Le proteste, il malumore, il disagio reale, le difficoltà oggettive, l’assenza di una prospettiva positiva stanno logorando il tessuto sociale e mettono a rischio la tenuta del sistema. Quanto sta accadendo è infatti un primo segnale ma è soprattutto un sintomo del malessere sino a ora sotterraneo ed attutito, ma che potrebbe esplodere. Limitato per ora a frange estremiste o criminali che soffiano sul fuoco della difficoltà ma che facilmente potrebbe attecchire nell’esasperazione di fasce sociali disagiate e a rischio povertà. Uno status che la crisi economica lungi dall’essere affrontata e superata potrebbe aumentare in modo esponenziale.
E’ il momento di scelte politiche, non soltanto assistenziali, di una reale visione del futuro del paese e delle strade per condurlo fuori dalle secche di questa insidiosa pandemia che potrebbe divenire non soltanto sanitaria e in tempi molto stretti!