L’agroecologia e la sfida per un’agricoltura produttiva e sostenibile
“La crisi del coronavirus ha dimostrato la vulnerabilità di tutti noi e l’importanza di ripristinare l’equilibrio tra l’attività umana e la natura”, afferma Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea. La strategia della Commissione europea per risanare questi scompensi, inserita nelle priorità per il periodo 2019-2024, prende il nome di “Farm to Fork” (tradotto in italiano con l’espressione “Dal produttore al consumatore”). Si tratta di una serie di iniziative, inserite nel quadro del Green Deal, volte a ridurre l’uso di pesticidi e di fertilizzanti in agricoltura e promuovere l’agricoltura biologica. L’obiettivo è il 25% di coltivazione biologica sul totale del terreno agricolo entro il 2030.
L’agricoltura è alla base della nostra produzione alimentare. Se la orientassimo in una direzione sostenibile, come quella proposta dalla Commissione europea, potremmo risolvere la fame nel mondo, così come molti dei problemi sociali associati. Ambizioso? Sicuramente. Irrealistico? Per niente.
Gli scienziati stimano che gli agricoltori producano già cibo sufficiente a sfamare 10 miliardi di persone, ben più dei 7,3 attuali abitanti della Terra. Nonostante ciò, nel 2019 quasi 690 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame. La cifra tocca i due miliardi se si considerano tutte le persone che, per problemi economici, non possono permettersi una dieta sana o nutriente. Senza contare gli ulteriori 130 milioni che potrebbero cadere quest’anno nella morsa della malnutrizione cronica a causa dell’emergenza coronavirus. Il tutto mentre circa un terzo del cibo prodotto a livello mondiale non raggiunge nemmeno le nostre tavole, perché finisce nei rifiuti, si deteriora o viene lasciato nei campi.
È evidente che l’attuale filiera alimentare porti in sé debolezze profonde, che vanno affrontate alla radice. Secondo il rapporto “Farming for the Future” dell’organizzazione Friends of the Earth, sono da attribuire all’agricoltura industriale fenomeni come il rapido esaurimento e/o inquinamento delle risorse idriche, la degradazione del suolo, massicce emissioni di gas serra che hanno un forte impatto sul riscaldamento globale e la perdita di biodiversità animale e vegetale. È un modello economico che non funziona.
Un approccio diverso, sostenibile su tutti i fronti, è quello dell’agroecologia. La Commissione europea la definisce come “l’applicazione integrata e congiunta di una serie di principi e tecniche che mirano a produrre quantità maggiori di cibo e altri biomateriali, e al contempo mantenere o migliorare lo stato degli ecosistemi e la loro capacità di fornire i servizi ecosistemici per il sostentamento della vita”. Integra, in poche parole, le tecniche dell’agricoltura alla conoscenza del funzionamento degli ecosistemi: è un approccio olistico all’agricoltura, che consente alla natura di rigenerare le proprie risorse e all’uomo di vivere – dignitosamente – in armonia con esse, in un sistema che garantisce anche diversità culturale e giustizia sociale.
I passi per realizzare una transizione agroecologica sono numerosi ma minuziosamente descritti. È necessario, prima di tutto, potenziare il riciclaggio della biomassa per favorire il ciclo dei nutrienti nell’arco del tempo. Il campo è un ecosistema complesso e per rafforzarlo è necessario trattarlo come un organismo con le proprie difese immunitarie: il passo successivo è quello di rafforzare la biodiversità funzionale e creare habitat ad hoc, incentivando allo stesso tempo l’attività biologica del suolo. È essenziale, successivamente, ridurre al minimo gli sprechi e ottimizzare il ciclo di rigenerazione delle risorse naturali e dell’agrobiodiversità. Bisogna infine diversificare le specie e le risorse genetiche presenti nel sistema e potenziare le interazioni e le sinergie biologiche tra di esse.
I benefici non sono solo ambientali (sebbene dovremmo considerare che siamo anche noi parte dell’ambiente e che dalla sua salute dipende anche la nostra), ma effettivi e direttamente relazionabili al benessere umano: le ricerche dimostrano con sempre maggiore accuratezza che un sistema agroecologico su scala globale potrebbe produrre scorte alimentari più che sufficienti per sfamare la popolazione mondiale, generando allo stesso tempo benefici economici, sanitari e ambientali.
In parte sovrapponibile alle pratiche agroecologiche, l’agricoltura biologica è oggi quanto di più vicino possediamo a quel tipo di agricoltura, sostenibile sotto tutti gli aspetti, da quello ambientale a quello socio-economico. Nonostante alcune pratiche degli agricoltori biologici stonino con l’approccio ecosistemico dell’agroecologia, non si puà negare che il biologico sia, almeno in Italia, il principale motore della ricerca in agroecologia.
Rispetto agli obiettivi europei citati a inizio articolo, l’Italia è a un buon punto se paragonata agli altri attori del vecchio continente. L’incidenza della superficie biologica nel nostro Paese ha raggiunto nel 2019 il 15,8% del totale della superficie agricola nazionale: questo posiziona l’Italia al di sopra della media UE, che nel 2018 si attestava all’8%.
Ci sarebbe bisogno sicuramente di più coraggio e maggiore incisività, ma segnali positivi vengono da iniziative virtuose come quella dei Bio-Distretti, vale a dire aree geografiche sub-regionali nelle quali si costituiscono associazioni tra produttori agricoli e agroalimentari, cittadini/consumatori, amministrazioni pubbliche locali, parchi nazionali e regionali, aree naturali protette, imprese commerciali, turistiche e culturali, associazioni sociali, culturali e ambientaliste. Tutti questi attori condividono ed agiscono secondo i principi ed i metodi di produzione e consumo biologico e dell’agro-ecologia.
La speranza è quella che, al loro interno, le pratiche biologiche, intese nel loro senso più olistico ed ecosistemico, possano trovare una fruttuosa comunione con i principi agroecologici, allineandosi agli obiettivi comunitari e ponendosi come un microcosmo che scateni un cambiamento positivo nel macrocosmo europeo e globale.