L’impressione più calzante che si prova di fronte alla situazione nella quale si dibatte il nostro paese, pur assuefatto a decenni di politica e mediazione infinite è certamente poco confortante. E non solo per il livello ormai medio basso del personale politico, ma per il prevalere di logiche, comportamenti, gestioni della cosa pubblica che invece di progredire sembrano riportarci indietro di decenni, spesso incrinando anche principi e libertà costituzionali sui quali è stata costruita la repubblica, rimesso in piedi il paese nel dopoguerra, favorito il miracolo economico pur con tutte le sue storture e i suoi ritardi.
E’ come se invece di progredire nei diritti del cittadino, il rapporto con esso venga stranamente immaginato come quello con un sostanziale suddito al quale il potere politico e pubblico può chiedere o imporre, senza tanti mezzi termini qualsiasi cosa. Non illuda la situazione di crisi, l’emergenza sanitaria con la quale vengono ammantate tutte le limitazioni. Sono un ottimo strumento per affrontare la parte più pesante di essa, ma stanno anche diventando mezzo disinvolto per far passare decisioni, scelte, anche strutturali, bypassando qualsiasi ancoraggio reale al sistema legislativo nazionale. L’Italia che verrà dopo la pandemia, quella nella quale vivremo si spera tra qualche mese, sarà molto diversa da quella che conoscevamo. Nella buriana del covid molte certezze sono state infrante, molti steccati divelti, ma non è certo se tutto questo sia avvenuto nel pieno rispetto dello stato di diritto come lo abbiamo conosciuto e studiato.
La parola che più identifica quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi e ci trova ancora impreparati, attoniti, è certamente ipocriṡìa, termine derivante dal greco antico e che indica senza mezzi termini la «simulazione». Il verbo dal quale il vocabolo discende indica il separare, il distinguere, il generale il «sostenere una parte, recitare, fingere». Questo atteggiamento è innato nei comportamenti umani, prova ne siano le storie, i racconti, la letteratura sull’argomento. Si simulano virtù, devozione religiosa, e in genere buoni sentimenti, buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone ….. ingannandole. Questo il punto centrale di interpretazione. In senso concreto, il termine descrive anche l’atto o il detto da ipocrita; il comportamento ipocrita. In altro ambito collegato con esso si intende ambiguità, doppiezza, falsità, farisaismo, gesuitismo.
Accanto a questi non certo augurabili significati, per ipocrisia si intende anche la capacità di dissimulazióne, ovvero il nascondere il proprio pensiero, o i sentimenti, i propositi, e così via. in modo che altri non se ne accorga, spesso anzi fingendo il contrario. Più in generale il nascondere, il celare.
Cosa c’entra tutto questo con la nostra quotidianità, con il nostro cammino in questa stagione – ma il discorso vale quasi sempre in ogni epoca – segnata da un’emergenza che assomma in sé tutte le altre e le trasforma? La riposta non è semplice ma la sensazione epidermica è che qualcosa in quello che ci viene detto, ammannito, propinato, non torni. Ossia che non sia esattamente corrispondente quello che ci viene detto a quello che realmente stiamo affrontando.
Nessun intento complottistico o dietrologico in questa riflessione. Ma una semplice e banale considerazione. Che cosa vuole il cittadino per capire che cosa sta succedendo? Che vengano dette cose sensate, vengano spiegate con semplicità quelle che devono essere affrontate, che a domande complesse vengano date risposte adeguate e non semplicistiche. Che si dica quali sono gli intenti, le finalità, le questioni aperte, le esigenze da non dimenticare, gli interventi irrinunciabili per mantenere al Paese il livello di una tra le maggiori economie mondiali pur nella sua debolezza e nella sua atavica difficoltà di insieme. Che si indichino le responsabilità e i responsabili dei capitoli più importanti di questo cammino da fare, che si evidenzino i doveri e i diritti di ognuno, che ci si rivolga al paese e ai cittadini come soggetti maturi, capaci di assumere responsabilità.
L’occasione di una forte iniezione di risorse provocata dalla pandemia ma che ha anche mostrato la possibilità di cambiare approccio ai problemi dovrebbe indurre ad una chiarezza senza precedenti, alla semplificazione massima dei processi decisionali, alla linearità delle cose da fare. Accade tutto questo? A giudicare dal dibattito politico, anche al netto delle buone disponibilità ed intenzioni positive di molti non sembra esattamente così. La sensazione che emerge è che siamo sempre nella stessa logica spartitoria, nella stessa miopia inversamente proporzionale alla quantità dei mezzi a disposizione. Che si pensi più a come governare e gestire che a realizzare le novità che questa condizione nuova ci permetterebbe. Con un colpo al cerchio e uno alla botte, ossia il classico da tutti aborrito della prima repubblica, ma anche segno distintivo del nostro modo di essere meno positivo nel corso del tempo. Esattamente il contrario del colpo d’ala che sarebbe opportuno, ma ancor più necessario. Secoli di ritardi e di storture non si superano in un colpo solo, ma cominciare senza ipocrisie a parlarne e a decidere di conseguenza, essendo a parole tutti concordi su molti dei nodi da sciogliere, sarebbe un primo buon punto di partenza. Quanto accade intorno a noi mostra poco di questa attitudine, molto invece dei vecchi mali e dei vecchi vizi. Alla faccia del nuovo che doveva avanzare!