Riflessioni di un insegnante sugli studenti con cui lavora
Premetto che per praticità descrittiva li dividerò in due macro-gruppi, uno all’estremo dell’altro, ma le varianti intermedie credo siano infinite.
1°: gli studenti più fortunati, molto seguiti e motivati dai genitori, viene spiegato loro l’importanza dell’impegno a fronte di crearsi una prospettiva per il futuro. Si tratta di persone per lo più motivate e consapevoli.
2°: i meno fortunati, alcuni studenti sembrano inclini a cercare grane a tutti i costi, frequentano gli studi perché obbligati a farlo, hanno obiettivi molto discutibili e nella quasi totalità non hanno una famiglia che li segua, alcuni vivono in case-famiglia essendo figli di genitori con gravi problemi sociali. La loro strada sembra segnata da eventi non decisi da loro e lo stesso può valere per i genitori; come interrompere questo triste ma purtroppo, diffuso percorso di vita?
L’istruzione è il primo strumento, ma la promozione quasi mandatoria, al di là dell’impegno profuso, non aiuta di certo. Un altro strumento è di certo l’attività sportiva, chi la pratica è più incline a comprendere le difficoltà che incontra, capisce la necessità di impegno al fine di raggiungere un obiettivo, e soprattutto sa porsi degli obiettivi.
Si lamenta il fatto che i giovani vivano incollati allo smartphone, immersi in una realtà virtuale, ma probabilmente nessuno o quasi li ha guidati nel mondo. Con i genitori che lavorano, i figli cresciuti spesso dai nonni (che a loro volta partecipano al sostentamento economico) restano orfani part-time. All’uopo il web offre ciò che sembra una valida alternativa, incontri ed amicizie virtuali, notizie che affermino le più svariate verità apparenti, spesso farcite di nobili intenti, bolle virtuali in cui crearsi una coscienza del mondo che li circonda e, ahimè, l’occasione di cadere in situazioni che poi risultino oltremodo sgradevoli per un adolescente.
Apatia? Forse no, si trovano su un’auto che raramente gli è stato insegnato a guidare, e la maggior parte delle volte non vedono la strada. Sembrano smarriti, hanno poche idee sul futuro (anche molti adulti stanno rinunciando ad averne). Vedono il futuro a vantaggio di chi può ottenere una raccomandazione o permettersi economicamente di studiare o di acquistare un titolo di studio, mercimonio questo già in voga da molti anni. Trovo in molti giovani una timidezza che non permette loro di parlare di problemi, paure e quant’altro li metta in difficoltà, spesso si rifugiano nel web, talvolta purtroppo vedono l’uso di droghe o alcol come una valida soluzione.
Una parte degli studenti purtroppo non si interessa a quanto accade nel mondo, alla politica ed ai problemi sociali, non segue i notiziari e non legge giornali, probabilmente non sono stati educati a farlo. Per loro tutto è scontato e non modificabile, abituati a subire anziché elaborare ciò che accade intorno a loro.
Un luogo comune sempre di moda, che sempre si presenta quando si parla dei giovani: “Ai miei tempi…”; espressione a volte inconsciamente di comodo per non ammettere che tutto evolve, talvolta in meglio e talvolta in peggio, uno studente di 15 – 18 anni non ha avuto la stessa infanzia, vissuto nella stessa realtà o fatto le stesse esperienze di un coetaneo di 35-40 o più anni fa. Non trovo corretto pretendere di riscontrare in loro le stesse reazioni e gli stessi comportamenti di quelli che avremmo avuto noi “ai nostri tempi”; i sistemi di vita sono molteplici e con le più varie sfaccettature; identificare un modo per classificare i loro comportamenti lo trovo sminuente nella considerazione della personalità altrui. I problemi di un adolescente ai nostri occhi sembrano bazzecole ma dal loro punto di vista sono enormi. Credo sia sempre stato facile in gioventù commettere qualche errore cercando di risolvere un problema visto al momento come qualcosa di mastodontico, vincolante per la qualità della vita futura, salvo poi riderne anni più tardi.
Fortunatamente un’altra parte di giovani ha un approccio alla vita diametralmente opposto, talvolta fin troppo sicuri di sé, ma quasi sempre propositivi, curiosi di tutto ciò che li circonda. Sono spesso indisciplinati non per maleducazione ma in quanto pieni di energia, che a quell’età è difficile tenere a freno; anche il sottoscritto era solito affiancare a dei buoni voti nelle varie materie un voto non altrettanto buono in comportamento.
Raggiunta la maggiore età possono iniziare a lavorare durante le vacanze e verificare se il percorso di studi intrapreso fa per loro. Chi prova questa esperienza rientra a scuola con entusiasmo, maturità e voglia di crescere encomiabili; chi non la prova rimane un po’ nel torpore adolescenziale attendendo sempre che qualcuno risolva i problemi per loro, li nutra e si occupi di loro, questo fino a quando anche per loro, presto o tardi, arriva il momento di comprendere quale strada sia meglio intraprendere.
Questo quanto constato nel mio rapporto con gli studenti, se poi a distanza di anni ci si risente è sempre con piacere, e ricevere un apprezzamento per quel poco che si è potuto fare per loro lo sempre molto appagante.
Io stesso ho la fortuna di incontrarmi spesso con un mio insegnante dopo oltre 30 anni dalla fine degli studi, riconoscente per l’impostazione professionale ricevuta. Spero che un giorno possa accadere anche con gli studenti di oggi.