Il gioco si fa pesante. La scorsa settimana Mosca ha schierato tra i 100 e i 150mila soldati a pochi chilometri dal confine ucraino. Una sfida che rischia di destabilizzare una situazione già tesissima dopo sette anni di guerra tra l’esercito regolare di Kiev e le milizie filorusse che controllano la regione del Donbass. Un conflitto cominciato nel 2014 con l’annessione della Crimea da parte del Cremlino proseguendo con la decisione di costruire un ponte che collega la penisola alla terraferma bypassando il territorio ucraino.
Altrettanto determinata è stata in questi anni la volontà di Mosca di armare ed addestrare i combattenti separatisti che operano nella regione del Donbass, dove dall’inizio delle ostilità hanno perso la vita oltre 35mila persone, secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, causando un esodo degli abitanti lealisti verso il territorio controllato da Kiev.
Una guerra che nell’ultimo biennio si era stabilizzata ma che ora rischia nuovamente di deflagrare, a causa dell’attivismo di Putin che con l’invio di un contingente così numeroso di unità combattenti provvisto di artiglieria pesante ed ospedali da campo, ha voluto lanciare un monito alle potenze occidentali e al nuovo Presidente americano Joe Biden. Quest’ultimo infatti ha definitivamente archiviato lo status quo imposto dal suo predecessore Donald Trump, rinnovando il suo sostegno al Governo di Kiev e attaccando frontalmente il Presidente russo, definito senza giri di parole un killer.
Il leader statunitense ha recentemente espulso una decina di diplomatici russi accusati di aver tentato di manipolare le ultime elezioni presidenziali, non escludendo di intervenire militarmente al fianco dell’esercito di Kiev. Una minaccia più tattica che sostanziale, che per ora si è concretizzata con la decisione d’inviare armamenti di ultima generazione che possano contribuire a bonificare la regione separatista.
Queste le ragioni che hanno spinto Mosca a dispiegare un così alto numero di soldati nei pressi del confine ucraino pronti, se necessario, ad un avanzata a supporto delle milizie separatiste che già ora possono contare su formazioni irregolari addestrate dal Cremlino. Mercenari con alle spalle una serie di operazioni sporche effettuate nel corso delle varie guerre del Caucaso.
Per cercare una strada diplomatica per evitare un’escalation del conflitto sono scesi in campo i leader dell’Unione Europea che si sono rifiutati di promuovere nuove sanzioni settoriali nei confronti di Mosca invitando al contempo le parti ad intavolare una trattativa per evitare nuovi bagni di sangue. Una posizione attendista, dovuta alle relazioni economiche che intercorrono tra i Paesi europei e Mosca, una partita che vede sul tavolo gli approvvigionamenti energetici e il contributo di Mosca alla campagna vaccinale contro la pandemia Covid-19.
Sullo sfondo c’è anche la situazione del principale oppositore russo Alexei Navalny, attualmente in stato di detenzione presso un ospedale del carcere di Vladimir, città industriale situata a 200 chilometri dalla capitale, che, secondo il suo entourage, verserebbe in gravi condizioni di salute dopo aver contratto la tubercolosi nel durissimo penitenziario.
Secondo i leader europei la liberazione di Navalny sarebbe un gesto in grado di stemperare una situazione pericolosissima che, nel caso di un’invasione russa oltre il confine, obbligherebbe le forze NATO a un intervento, anche se per ora l’Alleanza Atlantica ha negato all’Ucraina il formale ingresso nella struttura militare. Uno status cui Kiev ambisce dai giorni dell’indipendenza, ma che rischierebbe di provocare ulteriormente l’ira di Mosca.