La parola

Pragmatismo

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Come spesso accade nella nostra quotidianità e nel nostro vivere, alcune parole appaiono subito come intuitive, quasi senza bisogno di spiegazione e ci sembrano provenire dal nostro tempo. E’ il caso del termine scelto, del quale si parla come concetto anche filosofico e sociale tra l’Ottocento e il mondo di oggi, quasi che prima esso non fosse né consueto né utilizzato. Non desta però stupore che l’antichità del nostro occidente e in particolare quella greca ci porti ancora consiglio. Il vocabolo appare riferito alla speculazione sociologica e filosofica degli ultimi due secoli, ma un semplice controllo ci dice che la parola che noi diamo per discendente dal pensiero appunto dell’Ottocento e del Novecento, sia in realtà impressa a chiare lettere nel vocabolario dell’antica Grecia,

Così scopriamo che pragmatismo (o prammatismo) secondo il dizionario, deriva dal termine greco πρᾶγμα –ατος, ovvero pragma-pragmatos e che il suo significato sia quello di cosa o di fatto. Ed è in questo ambito che la sua familiarità si ritrova nel parlar comune, come un concetto semplice che ci sottolinea la capacità fattuale di qualcuno di fronte alle scelte che la vita pone dinanzi e la conseguente attitudine ad inserire le proprie attività in un a cornice fatta di piccole o grandi certezze di riferimento. Si sente spesso dire: quella è una persona pragmatica, e sovente nel dirlo vi è qualcosa di non sempre positivo, come se avere questa caratteristica portasse con sé la possibilità di azioni utili a chi le pone in essere ma anche non positive per coloro che ne ricevono o ne possono ricevere le conseguenze.

Andando come sempre in accordo con quanto ci riporta il dizionario, apprendiamo che il termine viene introdotto nel dibattito dal filosofo statunitense Ch. S. Peirce (1839-1914) “per caratterizzare la propria concezione analitica del linguaggio secondo la quale, per provare, indipendentemente dall’uso di categorie a priori, la veridicità di un’affermazione, occorre accertarne l’ambito di applicazione, verificando nella pratica la sua validità teoretica”. Da tale formulazione si distaccò il filosofo statunitense W. James (1842-1910), accentuando il valore totalizzante dell’azione e conferendo quindi al pragmatismo il carattere di teoria metafisica e morale della verità (in polemica con queste posizioni, Peirce preferirà definire le proprie come pragmaticismo). 

Ancora con il vocabolo di cui sopra si intende l’atteggiamento che tende a privilegiare i risultati concreti, le applicazioni pratiche, più che i principî o i valori ideali. Per estensione poi anche il comportamento spregiudicato che punta solo al raggiungimento dei proprî fini.

Ecco in questa interpretazione trova subito il senso che dicevamo prima, quello che in sostanza fa riferimento al significato più intuitivo ed immediato. Questo non vuol dire che la parola sia negativa ma che l’accezione nella quale la pratica l’ha mutuata possa investire per alcune sensibilità questo disvalore. In questo modo abbiamo elaborato il prisma attraverso il quale il concetto rappresentato da tale parola può essere osservato e compreso.  

La nostra attuale situazione nazionale, ma anche quella del mondo intero, vedrà commisurarsi diverse impostazioni che cercheranno di mostrare gli aspetti positivi e negativi del mondo nel quale la situazione stessa viene gestita. La vicenda lunga e condizionante della pandemia, il suo allentarsi progressivo e auspicato, le scelte che sono non solo utili ma necessarie per riavviarci verso quel mondo che pensavamo di aver acquisito in termini di diritti e di opportunità, ci dicono che un atteggiamento consapevole e chiaro è certo meglio di pannicelli caldi o di visioni quasi oniriche suk mondo di domani.

Come a dire che un po’ di sano pragmatismo non ci sta male anche se da esso provengono decisioni che sembrano e a volte sono dissonanti. La ripresa economica e la crescita che l’azione del governo sta cercando di mettere sui giusti binari per assicurarci l’imponente messe di risorse economiche e finanziarie disponibili, porranno di fronte a scelte che non possono essere omnicomprensive e che inevitabilmente metteranno in difficoltà chi si volesse adagiare sul fatto che se ci sono i soldi si può risolvere tutto e che ogni altra decisione è utilitaristica o strumentale. E’ un gap interpretativo e politico spesso frutto di come il paese si è andato evolvendo nelle sue diverse aree. Siamo un popolo di persone operose e disponibili, ma abbiamo tra di noi anche chi pensa di appoggiarsi a questa operosità altrui in modo passivo, utilizzando per così dire l’abbrivio, senza pensare a ciò che si può fare per collaborare, ma privilegiando soltanto quello che “deve” essere dato sempre e comunque per ataviche carenze e per sedimentazioni sempre più date per assodate.

Purtroppo la parte sociale delle decisioni dovrà essere molto corposa se il sistema si dovrà riavviare stante il ritardo che abbiamo accumulato sul fronte del lavoro, della sua possibilità di evolvere nei tempi attuali ma in nome di alcuni inalienabili diritti e garanzie che troppo spesso vengono disattesi. Quella concezione di economia sociale di mercato che doveva essere la metà dell’Unione Europea, capace di consentire a tutti di partecipare ad eguale titolo al futuro, è ancora qualcosa di irrealizzato, a volte di tradito, con l’inevitabile conseguenza che si scambia il fine con il mezzo e tutto quello che ne consegue. Certi diritti sono granitici e tale deve essere la loro difesa, ma lo può essere soltanto se evitiamo incrostazioni ideologiche e storiche dimostratesi fallaci e con coraggio proviamo ad avanzare. Altrimenti ogni sforzo sarà defatigante e ogni passo in avanti sarà zavorrato e soltanto parziale!

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