Il rifiuto della tradizione per compiacere il “mondo”(Prima parte)
Molti osservatori di avvenimenti vaticani si sono chiesti, in questi mesi, se in un momento storico come questo, dove la credibilità della Chiesa è ai minimi storici: scandali sessuali e finanziari, chiese sempre più vuote con almeno due milioni di fedeli italiani in fuga dal versamento dell’8xmille, creando un buco non indifferente nelle finanze dei Sacri Palazzi, sia stato necessario aprire il fronte contro i cosiddetti tradizionalisti.
Come dal celebre vaso di Pandora stanno uscendo in questi ultimi tempi, tutte le contraddizioni sia dogmatiche che liturgiche, del post Concilio, un caso per tutto il Sinodo tedesco, le cui conclusioni stanno dilagando ed infettando anche in altri Paesi: dall’ordinazione delle donne sacerdote, ai matrimoni omosessuali, alla fine in pratica della gerarchia della Chiesa e, dunque, della sua fine, solo per citare gli elementi più controversi.
Dunque, in questo momento così complesso per la vita della Chiesa, si è pensato bene di abolire di fatto la Messa in latino o tridentina, voluta e sancita da San Pio V, l’unica traccia ancora di tradizione liturgica rimasta, ma considerata come unica causa di tutti i mali attuali per le comunità ecclesiali, pur essendo stata liberalizzata per la sua validità e ortodossia da Benedetto XVI nel 2007.
“Mi rattrista – scrive il Papa Francesco nel suo Motu Proprio ‘Traditionis Custodes’ – un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’.
“Purtroppo – scrive ancora il Papa – l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso ‘fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente’, è stato spesso gravemente disatteso” 1.
Sono parole che meritano certamente rispetto, ma con alcune precisazioni, viste la gravità con cui sono state pronunciata dal Santo Padre.
Così, porsi delle domande davanti a questa scelta, avere delle perplessità, non è certo un atto di mancanza di rispetto, se fatte con animo sereno, ma come insegna lo stesso papa Francesco, non bisogna mai tacere ciò che può scandalizzare, ma è un doveroso atto d’amore verso l’istituzione Petrina, voluta da Cristo.
Sarà solo il Papa, con la sua responsabilità, a trarne poi le dovute conseguenze.
Scevri dunque dal voler valutare gli aspetti giuridico – canonistici, di cui non abbiamo competenza, intendiamo invece analizzare gli aspetti propriamente liturgici, facendo una sintesi, a nostro avviso, dei punti più contraddittori del testo, che vanno in maniera evidente, contro una parte dei fedeli che seguono il Vetus Ordo, ma a differenza degli anni ’70, dove i tradizionalisti allo scoperto erano solo qualche migliaio, guidati dal vescovo Marcel Lefebvre, oggi la realtà è differente.
Secondo le statistiche sono ormai alcuni milioni i fedeli legati alla Messa in latino in ogni parte del mondo, con decine di parrocchie e di chiese, con oltre cento tra seminari o case religiose insieme più di qualche migliaio tra sacerdoti e altrettanti religiosi. Una realtà certamente da non sottovalutare.
L’articolo uno del documento papale, dà un po’ la traccia a tutto il Motu in questione, afferma infatti:” I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.
Cerchiamo di approfondire meglio.
Intanto già l’espressione in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, lascia perplessi dove il Codice di Diritto Canonico, al canone 928, in linea con l’insegnamento della Costituzione liturgica del Concilio Vaticano II, stabilisce che: “La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina o straordinariamente in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati”, e al punto 36, la Sacrosanctum Concilium stabilisce come principio: “L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini” inoltre “La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina”.
Pertanto, logica vorrebbe, che se si vuole essere in conformità con il Concilio Vaticano II, bisognerebbe usare il latino nella liturgia e non le varie lingue nazionali se non addirittura i dialetti locali.
Ciò che lascia stupiti è il crescente acredine, come vediamo non giustificato, dal post concilio contro il latino come lingua liturgica, pur essendo la più antica di sedici secoli di liturgia romana 2.
Tanto è vero che proprio appellandosi a questo punto, Paolo VI, rispondendo al cardinale inglese Hennan affermò solennemente che: “non è mia intenzione di proibire assolutamente la Messa Tridentina” e una petizione al papa la fecero alcune decine di sacerdoti anglicani convertiti al cattolicesimo3che chiesero di nonpromulgare questa messa perché identica a quella anglicana.
Già il fatto che degli ex religiosi anglicani denunciassero la simbiosi della nuova messa con quella protestante inglese avrebbe dovuto allertare le autorità ecclesiastiche che qualcosa nella nuova Messa elaborata da mons. Bugnini 4 per volontà del papa, non andava.
Tantissimi liturgisti, anche tra i cosiddetti innovatori, affermavano che l’impianto liturgico della Messa riformata era andato ben oltre le aspettative dei dettami conciliari, costituendo una liturgiaex novo, tutt’altro che nata nel solco della tradizione della Chiesa, come confermato anche dall’allora card. Ratzinger nel suo libro ‘La teologia della Liturgia’ del 2016, scriveva che la liturgia di Paolo VI, “Scritta “a tavolino”, non può più essere considerata certamente parte del Rito Romano”.
Inoltre, come vedremo, il Rito Romano non sopravvive più nel messale riformato di Paolo VI (a confronto nel nuovo messale rimane poco più del 20%, ndr) ad affermarlo sono liturgisti ‘amici’ e ‘innovatori’ della Tradizione latina come padre Klaus Gamber5 che afferma:” il messale riformato merita il titolo di messale modernus, ma non romanus” e aggiunge nei suoi tanti interventi sulla nuova liturgia definita non più “Ritus Romanus, siamo davanti alle macerie di una Tradizione quasi bimillenaria, altro che continuità nella tradizione” 6.
Una tesi sostenuta anche da un altro importante teologo come padre Louis Bouyer 7, favorevole alle innovazioni del messale, ma che, da uomo di grande onestà intellettuale, non esitò ad affermare nel suo libro: ‘La decomposizione del cattolicesimo’“Oggi non c’è in pratica nella Chiesa Cattolica una liturgia degna di questo nome”.
Su questo argomento abbiamo anche un altro riformatore come il padre gesuita Joseph Gelineau 8 che scrisse, anni dopo, amaramente, un lungo atto di accusa proprio su questa Messa “Confrontino (il vetus Ordo) – diceva – con la Messa che abbiamo ora. Non solo le parole, le melodie e alcuni dei gesti sono diversi. A dir la verità, si tratta di una liturgia diversa della Messa. Questo va detto senza ambiguità: il Rito Romano che conoscevamo non esiste più. È stato distrutto”.
A conclusione di questa prima parte pubblichiamo le parti a nostro avviso più importanti della Bolla Quo Primum Tempore emanata dapapa san Pio V con la quale si promulgava la riforma di questo rito, emanata il 14 luglio 1570: “Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente. Nessuno, dunque, e in nessun modo, si permettano con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro Documento. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.” 9
(Fine prima parte)
Note
1 Da qui la decisione di abrogare ogni disciplina precedente, e regolamentare, caso per caso, tramite la responsabilità dei vescovi diocesani, la possibilità di concedere in via straordinari la celebrazione della Messa con le spalle al popolo, secondo il messale preconciliare del 1962. Una restrizione ingiustificata, facendo un esempio, è come abrogare per legge i concerti di Bach perché c’è chi li esegue con qualche stonatura.
2 La Messa venne perfezionata nel IV secolo da Papa Damaso che avviò il passaggio definitivo dalla lingua greca alla latina, inseguito fu papa Gregorio Magno che, rifacendosi a documenti antichi, poté affermare che la Messa era di origine apostolica, dunque petrina, dando, nel VII secolo, un corpo fisso alla liturgia così da contenere tutta la fede cattolica per il Sacrifico Propiziatorio. Circa mille anni dopo san Pio V, in seguito alla riforma protestante e in linea con il Concilio di Trento, dette forma definitiva che sarebbe dovuta restare per sempre ed in modo indelebile, ovunque nel mondo, tanto che nella Bolla Quo primum gli diede una forma che possiamo definire assoluta da non potersi mai più cambiare, fu una autentica promulgazione dogmatica che in seguito Paolo VI si prese la responsabilità di cambiare, nonostante molti pareri contrari.
3 Nel 1971, alcuni sacerdoti anglicani, convertiti al cattolicesimo scrissero al Papa per chiedere cosa fare con la nuova Messa che era identica a quella anglicana e che loro avevano abiurato. Gli fu dato oralmente il permesso o indulto per il rito tridentino, purtroppo per loro le cose non andarono così sia per il card. Herman che per i tanti sacerdoti inglesi convertiti.
4 Annibale Bugnini ebbe un ruolo decisivo nella riforma liturgica seguita al Concilio Ecumenico Vaticano II, quale segretario della commissione per la liturgia.
5 Klaus Gamber (1919-1989), dottore in filosofia e in teologia, membro d’onore della Pontificia Accademia di Liturgia, fondò a soli 38 anni l’istituto liturgico di Ratisbona, per lo studio delle fonti liturgiche d’Oriente e d’Occidente. Ha scritto oltre 360 titoli.
6 Testo pubblicato nel 2008 su Una Vox.
7 Louis Bouyer (1913 2004) Partecipò in qualità di consultore ai lavori del Concilio Vaticano II. Prima della sua conversione al Cattolicesimo, nel 1939 era stato ministro luterano È noto per il suo contributo scientifico nell’ambito della spiritualità e la storia del Cristianesimo. Insieme all’allora cardinal Joseph Ratzinger.
8 Joseph Gelineau (1920 –2008) gesuita, compositore francese principalmente di music liturgica cristiana moderna. Fu membro del comitato di traduzione la Bibbia di Gerusalemme (1959).
9 La forma integrale del testo si può trovare su Vatican Va.