Oltre la pandemia, anche venti di guerra
Abbiamo considerato il 2020 e in gran parte anche il 2021, come l’anno più disgraziato in assoluto del nuovo millennio, dove il Covid l’ha fatto da padrone bloccando intere nazioni non solo per la salute, ma anche per l’economia e con ricaschi sociali non indifferenti di cui ne pagheremo le conseguenze per molto tempo ancora.
Non è certo quello che speravamo per il futuro, ma se questo è già un quadro plumbeo causato dal virus, ciò che si delinea all’orizzonte politico internazionale non lo è da meno.
Si parla apertamente, almeno nelle cancellerie che contano, di crisi geopolitiche dai risvolti poco rassicuranti, non escludendo conflitti locali che possono sfociare, per ora solo ipoteticamente, in vere e proprie guerre mondiali.
Senza essere catastrofisti, complottisti o, peggio, menagramo, il problema esiste ed è anche assai concreto.
Non ultimo l’accordo per il Pacifico l’Aukus, un acronimo per indicare l’alleanza tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti in versione anti cinese.
Un’alleanza che per ora non sappiamo quali conseguenze potrà avere sullo scacchiere internazionale, certo un risultato lo ha già ottenuto: i rapporti tesi con l’Europa, completamente ignorata da questa alleanza e ne sa qualcosa la Francia che si è vista stracciare l’accordo di 66 miliardi per sottomarini atomici da inviare in Australia.
Detto questo, basta guardare una cartina politica per comprendere i punti caldi del pianeta.
Abbiamo il Medio Oriente, l’Africa e anche l’Estremo Oriente, in particolar modo il Mar della Cina che sta diventando un vera polveriera per questioni politiche mai veramente risolte.
L’abbandono, o meglio la fuga dall’Afghanistan da parte dell’esercito americano, ha creato di fatto nuovi scenari e nuovi equilibri che incideranno sicuramente sulla pace internazionale.
Insomma, non c’è da star tranquilli.
La Cina, non è un segreto per nessuno, vuole consolidare il suo potere non solo di potenza economica, ma anche militare facendo del mare che la circonda il suo “Giardino di casa” come fu per gli americani il Centro America, durante la “Guerra Fredda”, ma in questo caso il ‘tallone d’Achille’ non è certamente Cuba, ma Taiwan, l’antica isola di Formosa, dove poter creare una Air Defense Identification Zone estendendo militarmente la propria sovranità con il controllo, oltre che della navigazione anche del sorvolo nei cieli.
In questo modo gli Stati Uniti sarebbero esclusi per sempre dall’area e isolando in maniera pericolosa nazioni amiche come Giappone, Corea e ovviamente Taiwan che diverrebbe, se non si agisce con fermezza, una semplice regione dell’impero del Dragone.
Tale eventualità è resa ancora più drammatica dopo i fatti di Hong Kong, dove, nonostante la firma posta solennemente sui trattati internazionali per la salvaguardia dell’ex colonia inglese, la Cina non ha esitato a toglierle ogni forma di libertà creando un aria politica sempre più irrespirabile.
Due importanti professori universitari e studiosi di strategia politica, Robert D. Blackwill e Philip Zelikow, del prestigioso Council on Foreign Relations hanno ribadito che si stanno creando nell’area cinese tutti quegli elementi che potrebbero portare non solo a conflitti regionali, ma addirittura ad una guerra dai risvolti imprevedibili.
Un problema non da poco, specie per gli Stati Uniti per i quali l’isola di Taiwan è strategica sia economicamente, politicamente e, non ultimo, ancora più militarmente.
Seguendo lo scenario descritto dai due professori si deduce una nota dolente assai grave proprio sulla potenza militare Usa, già prima dei fatti in Afghanistan: “Non ha opzioni credibili – affermano – per affrontare la crisi militare più pericolosa che si profila davanti a sé”
L’eventuale conquista di Taiwan e il ribadirne la sua annessione come territorio cinese creerebbe un pericolo non da poco anche per Tokyo e Seul:quello di essere a loro volta in qualche modo fagocitate da Pechino.
Blackwill e Zelikow esortano, dunque, l’amministrazione Usa a lavorare con i suoi alleati, in particolare col Giappone, per preparare piani alternativi che potrebbero contenere le mosse militari cinesi contro Taiwan e aiutare quest’ultima a difendersi scaricando, poi, la responsabilità di un’eventuale conflitto sulla Cina.
Per questo i due ricercatori auspicano una pianificazione ampia e dettagliata, anticipando le conseguenze che potrebbero nascere da una guerra più estesa, senza presumere, almeno si spera, che un tale conflitto potrebbe o dovrebbe estendersi ai territori metropolitani cinesi, giapponesi o statunitensi, in questo caso la situazione diventerebbe veramente ingestibile.
Come insegna la storia, per scatenare una guerra occorre sempre un pretesto, vero o fittizio che sia, pronto ad esplodere.
Seguendo varie ipotesi d’intervento, le sconosciute isole Senkaku potrebbero esser quel fatidico detonatore.
Sono solo cinque isolette disabitate con tre scogli, distante 120 miglia nautiche da Taiwan, 200 dalla Cina e ancora 200 dal Giappone alle quali appartengono dalla fine dell’Ottocento con varie vicissitudini e sancite ormai da accordi internazionali.
La particolarità di queste isole non è certo la ricchezza del territorio, completamente disabitate dal 1940, dopo il fallimento di una industria giapponese per la lavorazione del tonno, quanto per la sua collocazione strategica nel Mar della Cina, dal che Pechino le rivendica come proprie a scapito di Taiwan e del Giappone.
È probabile che, con le scorribande della marina cinese in queste acque, come avvenuto già lo scorso febbraio di quest’anno, possa favorire un domani la medesima alleanza che venne stretta, dopo l’ultimo conflitto mondiale, tra Tokyo e Washington; e proprio il recente Aukus potrà diventare la prima risposta operativa nel mar della Cina.
Questo, però, implicherebbe un intervento diretto statunitense con tutte le conseguenze che si potrebbe creare nell’area con dimostrazioni di forza cinese sul mare; ricordiamo che quest’ultima già dispone di sottomarini di ultima generazione per consolidare, secondo fonti della stampa inglese, il suo intento di pervenire allo status di superpotenza e dominare di fatto le vie commerciali che attraversano il Pacifico, in contrasto, però, col diritto internazionale.
Dopo questi scenari, il Covid, che tanto ci ha allarmato, regredirebbe di molto nelle preoccupazioni degli abitanti di questo Pianeta, la guerra purtroppo non si può fermare né con un vaccino e né tanto meno con un tampone.