Società

E ora uccidiamo Shakespeare

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Diciamolo chiaramente, sembra di vivere in un incubo, in un romanzo fantasy dell’horror, il cosiddetto politically correct continua imperterrito a mietere vittime illustri della storia e della cultura mondiale.

L’ultimo esempio, ma potremo citarne a decine in questi ultimi anni, è William Shakespeare, definito secondo uno slang anglofono “dead white men”, cioè uomini bianchi morti [per i loro crimini].

Purtroppo, non è uno scherzo; la figura simbolo della cultura mondiale, ma specialmente anglosassone, viene ora contestata perché macchiatasi di colonialismo, razzismo e, per riflesso, di sterminio delle tribù locali.

Roba da non credere.

Non è una questione ideologica, ma di semplice disinformazione, basterebbe aver letto qualche libro di storia anche di scuola media per capire che simili accuse sono generate da una semplice grave ignoranza; mancanza di quella che un tempo si definiva cultura generale.

Facciamo allora un po’ di storia.

Prima di tutto come potrebbe essere Shakespeare accusato di colonialismo, quando la prima colonia inglese si insediò nel 1607 a Jamestown, così chiamata in onore del re Giacomo I, a sud della odierna Washinton D.C.

Come faccia, dunque, il nostro poeta ad essere accusato di colonialismo quando questo non esisteva, così bisognerà arrivare alla fine del XVII secolo per vedere le prime forme di politica coloniale dopo, ricordiamolo, le tante guerre interne fra le varie tribù della costa orientale dei futuri Stati Uniti.

Alla luce di questi fatti, Shakespeare era già deceduto da quasi cento anni, ma questo non basta per i fautori del politically correct.

Se poi ci rifacciamo il colonialismo in Africa esso nasce ufficialmente addirittura nel 1888 con i possedimenti dell’odierno Botswana ed estendendo il proprio domino sulla regione della Rhodesia, ora Zimbabwe.

In Asia, per meglio dire in India, la colonizzazione arriva nel 1876 e in Australia nel 1770 dopo la sua scoperta da parte del capitano James Cook, ma per parlare di colonizzazione vera bisognerà arrivare alla metà del XIX secolo.

A questo punto sorge una domanda: “Ma di quale crimini di colonizzazione da parte di Shakespeare stiamo parlando?

Purtroppo, ciò che sarebbe facile smontare come fandonie, diventa difficile, quasi impossibile, quando le menti sono offuscate dall’ideologia.

George Orwell profetizza nel suo splendido ed attualissimo capolavoro, 1984, che entro il 2050(per noi contemporanei tra appena 29 anni, ndr): “Tutta la letteratura del passato sarà stata distrutta: Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron… trasformati in qualcosa di opposto a ciò che erano prima. Il pensiero non esisterà più … la regola vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare”.

Le parole chiave di questa nostra epoca è racchiusa in questa frase “non pensare, non aver bisogno di pensare”.

Una realtà che attraverso il politically correct, insieme a altre sue derivazioni di carattere ideologico, si stanno attuando con la distruzione della civiltà, non solo europea, ma mondiale per cancellare la memoria storica dei popoli, e a quel punto, avendo finalmente un foglio bianco, si può scrivere qualsiasi cosa, specialmente se inventata.

La storia si riscrive e con una protervia dittariale si afferma che ciò che è stato detto fin ora è sbagliato, assurdo; ma ciò che lascia sconcertati è che nel tempio sacro di Shakespeare, il celebre Globe Theatre, si organizzino dei seminari antirazzisti per, come dicono, decolonizzare nientemeno che il corpus del grande poeta.

Una critica letteraria che ha dell’assurdo definendo alcune sue tragedie addirittura ‘problematiche’ per i temi che portano in scena.

Ad esempio: La tempesta per la riduzione in schiavitù di CalibanoLa bisbeticadomata per misoginia; nel Sogno di una notte di mezza estate sono stati rintracciati stereotipi perniciosi, e si potrebbe continuare. 

Un caso a parte che merita di essere raccontato, per capire fin dove una certa mentalità può arrivare, è certamente un caso di cronaca che riguarda indirettamente Shakespeare perchè legato alla tragedia di Otello.

Leggiamo che la prestigiosa Università del Michigan ha sospeso dall’insegnamento di composizione musicale, il maestro cinese Bright Sheng il quale, per introdurre la lettura musicale dell’Otello composto da Giuseppe Verdi, ha avuto la ‘pessima’ idea di far vedere ai suoi studenti, per introdurli nella tragedia, il film omonimo girato nel 1965 ed interpretato dal simbolo del teatro inglese, Laurence Olivier.

Ci si può domandare: dov’è il reato?

È presto detto, Olivier pensò di interpretare nel film il personaggio di Otello indossando una parrucca nera assai riccia e con una tintura nero pece sul viso, infine, ritoccò le labbra per renderle più carnose, essendo il personaggio di origine africana.

Un trucco scenico che, bisogna dire, attirò numerose critiche anche allora, ma oggi tutto ciò è visto come una grave offesa o un dileggio razzista gravissimo per il quale si sta optando di eliminare addirittura dalle cineteche questa pellicola; ora, per fortuna o per disgrazia – aggiungiamo noi – Otello si rappresenta senza più parrucca e senza make-up, e solo a volte con un leggero filo di fondotinta.

Davanti a tale crimine, peggio che avesse portato in classe materiale pornografico o avesse offeso la Regina, il povero Sheng, come si usava durante la Rivoluzione delle Guardie Rosse di Mao che lo stesso insegnante ebbe la sventura di vivere da bambino, si è autodenunciato per la sua imprudenza davanti agli studenti chiedendo scusa.

Nonostante tutto questo, ancora non sappiamo se ha riavuto la sua cattedra.

Davanti a questa serie di rielaborazioni storiche anche violente, ricordiamo che William Shakespeare è uno ormai tra le centinaia di casi, che la memoria storica, come insegna ancora Orwell, “Una volta distrutta non la si può più ricostruire e da quel momento siamo alla mercè di chi, la storia, la riscrive”.

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