Tra Colle e Governo un equilibrio prospettico difficile con i partiti in crisi
Essere o non essere, questo il dilemma. La saggezza e il messaggio che ci viene da Wiliam Shakaspeare e che viene pronunciato da Amleto nel celebre passo letterario non è una esagerazione che impieghiamo per parlare del nostro quotidiano politico e sociale. È un riferimento utile a porci nella prospettiva che vediamo dipanarsi sul fronte della politica italiana.
Una politica alle prese con una sorta di tempesta perfetta. Da un lato il Quirinale, i possibili candidati al Colle o aspiranti tali. Qui valgono alcuni detti. Uno più aulico “se si entra Papa si esce cardinale” riferito al Conclave della Chiesa Cattolica, l’altro più sempliciotto ma che ricorda quanto disse una nobildonna lo scorso secolo “bene o male purché se ne parli!” identificando il vizio nostrano di mettere tutto in piazza. Su tutto varrebbe un’altra frase indicativa “un bel tacer non fu mai detto”, come a dire che tacere a volte è meglio!
Un altro lato ci parla del Governo, quel governo di maggioranza ampia ma tra diversi e antitetici che sta gestendo uno dei programmi di rinnovamento e sviluppo della società italiana più importanti da qualche decennio a questa parte. Un insieme di interventi necessari, ineliminabili, e della cui cogenza sembrano tutti convinti sino a quando non si deve intaccare però qualche terreno di riferimento. Ecco allora che risorgono difficoltà e particolarismi, quel male insanabile che ha rallentato e quasi bloccato il paese per molti, troppi anni.
Poi abbiamo il fronte della pandemia, quella con la quale conviviamo da oltre un anno e che condiziona, e lo farà per altro tempo ancora, le nostre stesse decisioni, l’esercizio stesso del nostro sistema di diritti, valori, ponendo il dilemma più grande: la salute di ognuno e la salute pubblica e costituzionalmente garantita per tutti. E l’equilibrio difficile tra i due poli in questione.
La questione angolare possiamo dire è quella del cosa fare per tenere insieme questi tre lati. È indubitabile che l’elezione del nuovo presidente della Repubblica costituisca un momento topico per il dipanarsi della nostra Costituzione sia in termini formali che sostanziali. D’altro canto, il funzionamento dell’esecutivo a fronte degli impegni assunti con il PNRR e nei confronti della nostra cornice internazionale europea e in ultima analisi a favore di un maggiore equilibrio di crescita nazionale è un altro punto irrinunciabile. Ecco allora che si è sviluppato un ragionamento che neppure nei sogni o negli incubi sarebbe stato possibile immaginare. Parliamo del rebus irresolubile di come portare il premier Draghi al Quirinale garantendo al contempo il funzionamento e l’azione del governo secondo i parametri impostati. Al di là del fatto che non si tratta di un problema soltanto aritmetico e di consenso, ma quasi di una sorta di funzione quantistica volendo mantenersi nell’assurdo, è evidente che in primo luogo l’elezione dovrebbe avvenire nei canoni che la Costituzione indica e che per il governo si porrebbe la questione irrinunciabile di una maggioranza coesa e capace di non arrestare quanto iniziato. E soprattutto che il rispetto delle regole costituzionali e della logica non consente vie di uscita diverse o precostituite o peggio frutto di furbizia!
Arriviamo così al punto. La politica nazionale e la sua attuale condizione. Non vi è dubbio che la crisi della politica e soprattutto la crisi della rappresentanza e dello strumento di essa, i partiti, faccia acqua da tutte le parti. Le formazioni politiche sono in crisi di identità e non da oggi e a questo si è aggiunta la frammentazione che ne è la spia più preoccupante. Soltanto pensare ad una sintesi e ad un nuovo scenario con i protagonisti attuali appare non solo di difficile realizzazione, ma frustrante. Il voto dei cittadini anche nelle elezioni amministrative mostra come la disaffezione sia in aumento e nel recinto di chi vota, per così dire, la confusione e la divisione la facciano da padrone.
Il rebus dinanzi al quale ci troviamo non è né semplice nè rassicurante. Da qualsiasi parte lo si guardi infatti non è facile identificare un sentiero da percorrere, una reale via di uscita. Ogni passaggio potrebbe avere varianti e possibilità inesplorate.
L’unica cosa certa è che una soluzione andrà trovata e che il faro di riferimento è nella Costituzione. L’atteggiamento prudente e silente del premier altrimenti tirato in ballo e per la ghiacchetta, la dice lunga sul suo pensiero. Il compito che si è assunto è tale e centrale che una sua sostituzione sarebbe impensabile e a livello della carta fondamentale non siste una soluzione del tipo cinghia di trasmissione, come qualcuno ha pensato di dire. Quindi per la politica, se vuole essere alta, per i partiti se vogliono riappropriarsi di un ruolo centrale di rappresentanza non è sicuramente il momento dei funambolismi, dei giochetti di corridoio o delle pantomime o di altri arnesi ai quali abbiamo assistito in questi oltre settanta anni di Repubblica. Ma di una vera assoluta assunzione di responsabilità nazionale che sappia coniugare l’esercizio della democrazia, con il corretto funzionamento delle istituzioni sino al più alto scranno e a salvaguardia della dignità del paese e della sua ritrovata funzione nel consesso internazionale. Un patromonio che non si può certo disperdere avendolo appena riconquistato!