La parola

Tregua

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Il vocabolo scelto appare più una speranza, un’esortazione, che un dato reale nelle condizioni date nel conflitto in corso in Ucraina dopo l’invasione e l’aggressione della Russia. La sua origine è nel latino medioevale treguadi origine germanica. Il significato più immediato è quello di sospensione temporanea delle ostilità stabilita da due belligeranti ed estesa a tutto il teatro di guerra o a un solo settore, stipulata per raccogliere feriti, seppellire morti, prendere misure igieniche, chiedere ordini e istruzioni per agevolare trattative, favorire come sta accadendo alle porte dell’Europa, corridoi umanitari per quanti lasciano le città attaccate e distrutte dalla violenza bellica. In modo più ampio e generico, sospensione temporanea delle azioni belliche, anche non conseguente a un patto.

In generale ci si riferisce alla interruzione di qualsiasi ostilità, alla cessazione temporanea da una lotta, da rivendicazioni, anche tra fazioni o partiti politici, in campo sindacale, o tra gruppi avversari o tra privati. Spesso la si aggettiva armata, quando alla sospensione temporanea di una lotta o di una situazione di contrasto e di polemica, fa da contraltare un atteggiamento di sospetto e diffidenza contro un possibile attacco avversario.

A parte la spiegazione da sempre connessa con eventi bellici, di tregua si parla anche nel linguaggio sindacale, dove sovente viene definita anche salariale ovvero l’impegno dei lavoratori, espresso dai loro rappresentanti, di non avanzare richieste di aumenti di retribuzione per un determinato periodo di tempo. Esiste poi quella doganale, come sospensione delle ostilità internazionali di natura economica (inasprimento dei dazi doganali, divieti all’importazione e altre misure tendenti a colpire l’economia di un paese). 

In etnologia, si descrive la momentanea cessazione delle ostilità eventualmente esistenti tra i vari gruppi, attuata durante le riunioni delle diverse tribù in occasione delle feste cicliche (di iniziazione, di Capodanno, dei morti), propria di alcune culture etnologiche (Australia, Melanesia, alcune tribù indiane degli Stati Uniti centrali e orientali e dell’Amazzonia). Esiste poi quella viene indicata come “tregua di Dio”, un istituto medioevale – specifica il dizionario – formulato in modo particolareggiato nel Concilio Lateranense del 1179, per cui, per rispetto religioso e per obbedienza a prescrizioni della Chiesa, si interrompevano per determinati brevi periodi di tempo tutti gli atti di guerra e di rappresaglia.

Vi è poi il senso di cessazione, di pausa, di sosta, di riposo, riferito a condizioni e situazioni dolorose, penose, spiacevoli. Così, nell’uso poetico antico, il cessare di sospirare, di preoccuparsi. Oppure il venire a patti, a un compromesso oppure no.

Come sempre i valori che si possono attribuire al termine sono vari e complessi. In questo caso comunque accomunati dall’indicazione di qualcosa che si fa per interrompere una situazione difficile, non facilmente risolvibile e per la quale vi è la necessità di una sospensione, di un momento di distacco dalle cose e dalle questioni in campo.

Un elemento che salta subito agli occhi è che di tregua si può parlare soltanto se le parti la concordano e soprattutto la attuano. Non vi può essere tregua unilaterale pur se a volte se ne sente parlare, perché il senso stesso verrebbe a perdere valore e significato. E altresì evidente che spesso la decisione di addivenire ad una tregua non sia frutto di una volontà pacificatrice ma piuttosto l’opportunità, a volte la necessità, di riorganizzarsi tra le parti in lotta. Poi per definizione non può essere uno stato stabile ma soltanto un momento di interruzione, anche se nella storia si sono avute situazioni di tregua protrattesi nel tempo quasi a dimostrarsi definitive.

Se si trasferisce quanto precede nell’attuale crisi in Ucraina assistiamo ad una sorta di dialogo impossibile. L’aggressore per tutti – anche se non mancano improbabili menti distorte capaci di circonlocuzioni degne di schizofrenia paranoide – è la Russia, non fosse altro perché le sue forze armate hanno violato i confini ucraini e si sono addentrate nel territorio di questo paese, seminando bombe contro ogni genere di obiettivo. Dunque, parlare di tregua per Mosca sarebbe chiedere una sorta di resa al nemico. Da parte opposta, gli ucraini non possono certo concepire una richiesta di tregua che suonerebbe come un atto di debolezza proprio mentre dopo oltre un mese di ostilità l’esercito di Kiev sembra avere qualche contrasto positivo e recupero di posizioni.

L’unica tregua possibile sarebbe dunque quella che la comunità internazionale dovrebbe pretendere da chi ha cominciato la guerra e cercando di convincere ad essa anche chi sta resistendo, ma soltanto al fine di creare le condizioni di un definitivo cessate il fuoco propedeutico ad una trattativa di pace stabile. È evidente da molto tempo che Mosca non ha questa intenzione ma che si trova in una fase di stallo pesante dovuta alla sottovalutazione dell’avversario. Quindi i possibili sviluppi sono tutti da immaginare e la possibilità che questa parola cominci ad imporsi come si diceva sono più un’aspirazione, una vera e propria speranza, l’unica che comunque può sostenere la soluzione pacifica di un conflitto aberrante, fuori tempo, frutto di una volontà imperiale senza storia e senza base, prodotto di un’auto referenzialità ai limiti della lucida follia. Con la consapevolezza tragica di una lucida volontà di oppressione, di negazione, di odio che non devono trovare appiglio alcuno in un mondo civile!

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