La parola

Indignazione

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E’ tragico osservare che la profondità e la grandezza degli scrittori russi, la loro impareggiabile capacità di mostrare l’introspezione profonda dell’animo umano, l’analisi dei più profondi reconditi della psiche e delle manifestazioni di questa perenne insoddisfazione mista ai peggiori istinti, in queste tremende settimane di guerra venga occultata e svillaneggiata dalla incivile e pusillanime tendenza bullista degli attuali dirigenti. La vetta più alta di questa pochezza è stata raggiunta, ma esempi se ne possono fare molti in questa manciata di tragici giorni iniziati il 24 febbraio, in occasione della scoperta dell’orrore di Bucha e di altri villaggi intorno alla capitale ucraina.

Il sentimento immediato di fronte a tanta insensata crudeltà da parte di ogni essere umano con un minimo di condivisione emotiva dei destini altrui, avrebbe dovuto essere comunque l’indignazione per la sorte loro toccata, prima di ogni altra reazione. Il comportamento dei dirigenti del Cremlino, più realisti del re, meglio dello zar, è stata quella di irridere quanto accaduto, trasformarlo in una sorta di film, di pellicola, con accuse di montaggi e di comparse. Putin, ha parlato di provocazione ucraina. Basta ricordare che la piccola città e le altre sono state sotto il controllo militare russo dal 26 febbraio, poco dopo l’avanzata su Kiev. Solo ora, dal 4 aprile scorso, qualcuno che non fosse militare russo, ha potuto entrare in quella manciata di case e scoprire che cosa è successo.

Oltre all’onta, dunque anche l’irrisione per episodi degni delle corti internazionali di giustizia.

La parola scelta è dunque indignazione, sostantivo che deriva dal latino e che a sua volta discende dal verbo riflessivo indignarsi (sdegnarsi). Con questo termine si indica lo stato dell’animo indignato, risentimento vivo soprattutto per cosa che offende il senso di umanità, di giustizia e la coscienza morale. Esistono fatti che suscitano indignazione, che muovono, provocano, questa reazione, istintiva nell’animo umano. L’indignazione si manifesta, ad essa si da sfogo. Osservare il Beccaria “atti d’indignazione e di disprezzo con cui ciascuno guarda il carnefice”. E Manzoni attraverso fra Cristoforo annota “sentiva un’indignazione santaper la turpe persecuzione della quale Lucia era divenuta l’oggetto.

Esiste poi, oggi desueta la spiegazione del termine come infiammazione, irritazione di una parte del corpo.

Il senso più profondo è quello del quale abbiamo parlato, di reazione istintiva che coglie l’animo umano al cospetto di qualcosa che offende la dignità umana. La guerra, inutile ripeterlo, ci ha insegnato nei secoli – nello scorso in particolare – che ogni pietà “l’è morta” come usava dire. Quando a parlare sono soprattutto le armi, quando non si informa o forse si informa troppo di quel che si va a fare in un paese straniero, ogni limite può essere superato e la storia anche recente – basti pensare alla Bosnia – ci dà il senso immondo di cosa può diventare l’odio tra gli uomini, coltivato ed esasperato.

Se si vuole avere, al di là delle bullesche prese di posizione del presidente russo e del suo degno staff, basta andare a leggere che cosa scriveva l’agenzia Ria Novosti tempo prima della decisione di invadere l’Ucraina, descrivendo il perché di un atto di guerra, contro un paese del quale si è negata la stessa esistenza, come popolo e come nazione (Hitler sulla Polonia docet). L’organo di stampa russo – ex sovietico – osserva che l’intento deve essere in primo luogo quello di eliminare un’intera generazione di ucraini. La scusa, la denazificazione di un paese che va ricordato è presieduto da un ebreo i cui genitori sono stati massacrati ad Auschiwtz.

Questo, tranquillamente sottolineato in interventi giornalistici – vi sarebbe da inorridire a definirli tali – che hanno costituito una sorta di analisi prodromica del perché il 24 febbraio scorso il piccolo zar dopo aver negato l’esistenza del nemico lo abbia attaccato con violenza e ferocia senza definire quella che ha scatenato una guerra come è sotto gli occhi di tutti, ma parlando di non meglio specificata “operazione militare speciale”, ovvero centro trentamila soldati, migliaia di carri armati, navi da guerra che bombardano dal mare, centinaia di caccia bombardieri che ogni giorno sganciano centinaia di bombe su ogni cosa possa essere distrutta, da un condominio, ad una villetta, ad un ospedale, ad un teatro. In pratica tutto quello che fa vivere una società e la contraddistingue. Poi dopo lo scempio anche la beffa: militari russi spogliano le case, svuotano i negozi e i supermercati e ritornando in Bielorussia spediscono il frutto delle loro razzie a casa, attraverso le poste, come una rimessa da emigranti. Solo che qui si tratta di razziatori e di aguzzini. Ma si sa le poste sono le poste, non guardano in faccia a nessuno!

È difficile non provare sgomento di fronte a questo e allora l’orrore di Bucha, l’eliminazione fisica del nemico – non dichiarato – che sia un vecchio od un anziana di ritorno dal mercato di guerra, un bambino che si trova a giocare in giardino, una famiglia che con i bagagli cerca di allontanarsi dagli scontri, un paziente in dialisi, un infortunato bloccato a letto, una partoriente e via via con la più terribile normalità, assume il contorno più vero: questa non è una guerra è una vendetta contro un popolo da sempre martoriato e considerato minore: E come ogni vendetta gli atti che si compiono, non hanno limite e morale. Ma la vendetta si sa chiama la vendetta in una spirale senza fine!           

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