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Servizio, spirito di servizio, al servizio di. Le parole spesso si susseguono quando si parla di necessità pratiche, di esigenze da risolvere, di soluzioni da adottare.
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Servizio, spirito di servizio, al servizio di. Le parole spesso si susseguono quando si parla di necessità pratiche, di esigenze da risolvere, di soluzioni da adottare. Spesso ci si riempie la bocca della necessità di servizi efficienti, di garantirne l’adempimento, di crearne di nuovi in relazione alle mutate esigenze delle moderne società. A volte si ha la sensazione che tutto debba essere concentrato in questo concetto, che nulla sia possibile concretamente senza far riferimento al pubblico interesse. Siamo nel vasto alveo del rapporto tra privato e pubblico e nel dibattito sulla prevalenza dell’uno o dell’altro in termini di efficienza, attendibilità, valore. Un confronto che convive con la stessa organizzazione sociale dell’uomo nel passare dei secoli, e la cui sorte sembra essere quella di un equilibrio instabile e mutevole.
La definizione rientra nella nozione del complesso di attività prestate nei riguardi degli utenti per il soddisfacimento di bisogni collettivi. La nozione di servizio pubblico è stata, in passato, caratterizzata da una concezione soggettiva: era considerato servizio pubblico quello prestato da parte di un pubblico potere. Si è, in seguito, affermata una concezione oggettiva che, indipendentemente dalla natura del soggetto erogatore, riconosce il carattere di servizio pubblico in virtù del suo regime, dettato proprio per il soddisfacimento delle esigenze della collettività.
La Costituzione disciplina i servizi pubblici denominati “essenziali” (art. 43 Costituzione) prevedendo la possibilità di una riserva delle relative attività economiche in capo ai pubblici poteri. Così, in numerosi ambiti di servizio pubblico è stata, in passato, ampiamente legittimata la presenza di monopoli pubblici che hanno assunto diverse modalità: in particolare, si sono avute forme di gestione diretta del servizio pubblico da parte di imprese pubbliche e casi di gestione indiretta, con l’affidamento del servizio in concessione amministrativa a privati (non di rado, imprese a partecipazione statale).
Il diritto comunitario disciplina i servizi d’interesse generale assoggettati ad obblighi di servizio pubblico. Questi possono riferirsi a servizi d’interesse generale privi di rilevanza economica (istruzione, sanità, protezione sociale) ma anche a servizi d’interesse economico generale, tra cui le poste, le comunicazioni, i trasporti di linea, l’energia elettrica e il gas.
La disciplina comunitaria dei servizi pubblici ha introdotto – negli anni novanta del secolo scorso – principi di concorrenzialità e regolazione, in particolare per i servizi d’interesse economico generale.
Attraverso numerose direttive settoriali i tradizionali ambiti di servizio pubblico sono stati aperti alla prestazione competitiva tra più operatori. Il regime amministrativo degli accessi al mercato ha visto una decisa riduzione delle concessioni amministrative a vantaggio di autorizzazioni amministrative e licenze, titoli abilitativi più compatibili con la libera iniziativa economica dei privati. Le stesse autorizzazioni, poi, per la disciplina comunitaria, devono essere rilasciate sulla base di procedure a ridotta discrezionalità.
Sin qui gli accenni di diritto e giurisprudenza. A richiamare la nostra attenzione è stata l’ultima vicenda che ha visto ancora una volta il nostro paese al centro dell’attenzione internazionale, con in particolare la sua capitale. Uno sciopero ha tenuto chiusi musei e luoghi d’arte per la celebrazione di assemblee dei lavoratori. Il caso è divenuto virale – come usa dire oggi – per la chiusura del Colosseo, dei Fori e di tutti i siti dell’antica Roma. Disservizi nella comunicazione dell’agitazione alla platea dei fruitori, ai turisti, hanno fatto sì che migliaia di persone abbiano atteso per ore sotto il sole. Il ministro responsabile per i beni culturali e il governo hanno annunciato – informandone il Quirinale – un decreto legge con il quale i beni culturali vengono equiparati a beni pubblici e coloro che si occupano di essi, a pubblici dipendenti. In sostanza cambia il quadro di riferimento e per i lavoratori si pongono una serie di nuovi adempimenti, anche nel legittimo esercizio dei diritti di libera associazione e dei diritti sindacali. Per i sindacati si tratta di un restringimento delle libertà democratiche, per coloro che dovranno usufruire di tali beni si tratta di un segnale positivo nella direzione di un paese che sappia valorizzare l’immensa ricchezza culturale che possiede e farsi carico della sua fruizione da un numero sempre più alto di cultori, estimatori, turisti.
La scelta del governo è certamente dirompente, modifica una realtà da anni ossificata di un sistema asfittico e incapace di reagire e adeguarsi al nuovo. Una provocazione positiva necessaria alla quale la risposta avrebbe dovuto essere equilibrata e propositiva, cogliendo il senso complessivo della modifica strutturale che viene introdotta. Abbiamo invece assistito al consueto rito della condanna di atti autoritari, contro la democrazia sindacale e i diritti dei lavoratori, il tutto incuranti di coloro ai quali questi servizi vengono dispensati. Certo ci sono i diritti, gli stipendi, gli avanzamenti di carriera, ma se ci vogliono eventi quasi sovrannaturali per far aumentare il flusso dei turisti, altrimenti in calo ovunque nel paese, forse qualche domanda andrebbe posta magari con un impegno a partecipare alla riscrittura di un sistema paese che in un settore come quello culturale che potrebbe costituire un formidabile volano anche in termini economici ed occupazionali. Insomma un’altra occasione perduta!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::790::/cck::