La discontinuità ….. del cambiamento!
La lunga estate calda, non solo in senso atmosferico, che volge più o meno alla conclusione, ci consegna un quadro politico mutato in soli quindici giorni, una crisi di governo in corso ma con esiti probabili, un cambiamento impensabile – ma solo per chi non leggeva in controluce gli avvenimenti agostani – degli equilibri politici. Il tutto, come sempre, rigorosamente senza chiedere il parere degli italiani. Una coazione a ripetere che lascia esterrefatti per quel che riguarda il Pd e che sembra contagiare anche il nuovo che avanzava, ossia il movimento pentastellato.
Il titolo volutamente ironico pone il Paese davanti ad una realtà sfaccettata dove tutto resta in movimento, ma che mostra diverse facce e consente differenti analisi. Facce di bronzo sono tutti i protagonisti di questa crisi, chi come il leader della Lega sembra perdere e chi come 5Stelle e Pd appare in gran spolvero e vincente.
L’unica analisi seria e’ che dinanzi a quanto accade a perdere e’ il paese, siamo noi italiani. E fa un passo indietro la cultura politica autenticamente democratica che tutti agitano quando ne hanno bisogno e che diviene negletta quando si agguanta di nuovo il potere. E quel che più si evidenzia e’ la mancanza di rispetto per gli italiani!
Sentiamo certamente le dichiarazioni e ascoltiamo i supposti perché di scelte e azioni in corso, ma quel che viene in mente e’ il consueto, balneare ribaltone di sempre.
Non confonda il bailamme per la difesa della democrazia, i rischi che essa correrebbe per il sovranismo, la paura per l’uomo nero o solo al comando. Si tratta di artifizi dialettici, di riflessi condizionati di chi, come il Pd e la sua parte ex comunista, non riesce a vivere e a fare politica senza il nemico, il totem da abbattere. Un vizio congenito che invece di garantire la democrazia ha portato il paese all’immobilismo e alla politica per categorie. Abbandonato il vero humus della sinistra, quel mondo del lavoro che appare relegato alle analisi sociologiche e delegato ai sindacati ormai non più cinghia di trasmissione, nell’impossibilità di rinverdire la retorica resistenziale per semplice assenza di protagonisti in carne ed ossa, agli epigoni di quel che fu il PCI e alla costola di origine cattolica residua della Dc, non resta che rifugiarsi nella stancante e trita litania antifascista (cui andrebbe dato più alto valore soprattutto pensando alle nuove generazioni che quei tempi devono capire e non vivere settanta anni dopo), vedendo prima i Berlusconi liberali ed ora i Salvini sovranisti come l’avversario da battere per la difesa della democrazia. Come ai tempi dell’ex cavaliere, anche oggi si agitano gli spettri che il paese si è lasciato alle spalle decenni fa, mostrando più democrazia sostanziale di quanto politici ormai senza radici non sono più in grado di esercitare.
Un ben magro meriggio, consolatorio per qualche punto percentuale in più nei sondaggi, ma foriero di danni peggiori guardando al futuro anche immediato.
L’estenuante ventennio berlusconiano, la lotta senza quartiere al suo rappresentare comunque una parte consistente degli italiani, ha avuto l’epilogo di eliminare il nemico, avviato a consunzione naturale, senza garantire un confronto politico successivo con il mondo rimasto orfano di quella rappresentanza. Come sempre avviene dopo guerre fratricide quel che rimane sono macerie tra le quali si muovono e si agitano superstiti in cerca di senso.
Di qui e’ nata la fascinazione salviniana, la sensazione di potersi affidare ad un nuovo leader. Solo che questo leader per propria impreparazione sostanziale ha cercato il consenso con parole d’ordine, slogan retrivi, apparentamenti politici nazionali e internazionali improbabili e senza retroterra. Ecco il nodo che lo ha portato ad aprire una crisi al buio, con la scivolata della richiesta di pieni poteri e via discorrendo. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, diceva il saggio. Tuttavia quel che in pochi mesi era riuscito a divenire un partito in crescita esponenziale sta lì, con Forza Italia ormai al minimo storico superata anche dalla Meloni, è un blocco sociale del paese che non si fa gabbare dai politici di professione e con il quale probabilmente si dovranno fare i conti.
Il quadro appare desolante anche guardando ai ribaltonisti per così dire. I grillini, orfani del guru ormai dedito ad attività messianiche e in totale delirio vivono tra due spinte contrapposte, quella del gruppo al governo con la Lega e quelli da sempre alla finestra in attesa di dare il cambio. Ora che la Lega ha escluso se stessa dai giochi, almeno sino a quando il papocchio in preparazione non collasserà su se stesso e si andrà al voto, questa seconda linea si fa sentire presentandosi come più di sinistra e quindi più affine al Pd ma fondando questa propria visione su un movimento nato per archiviare i partiti e le vecchie categorie storiche della destra e della sinistra. Se non fosse triste ci sarebbe da sorridere, rimanendo in una civile ironia e senza scadere nel bestiario politico.
Per il Pd, quanto è accaduto, ha il sapore di un colpo di fortuna insperato, tanto contraddittorio per lo stato del partito ancora alla ricerca di una leadership e di un ruolo adeguato ad un paese in difficoltà e che non sarà certo salvato dagli slogan anti qualcuno, ma da scelte coraggiose e queste
si discontinue che tuttavia non si intravedono. E non porterà fortuna il placet che sembra arrivare dalle istituzioni europee attente certo ai conti e alle dinamiche nazionali ma sostanzialmente indifferenti a quanto avviene poi nelle popolazioni, vero ago della bilancia. Quando sarà chiaro che il deficit sinora negato potrebbe essere concesso, facendo ulteriore debito pubblico e distribuzione di risorse apparentemente destinate allo sviluppo, l’inghippo sarà di fronte ai nostri occhi! Senza dimenticare che le radici del ribaltone (forse intraviste da Salvini ma non intese nel loro valore e contrastate con intelligenza politica) erano visibili nel voto grillino alla nuova presidente tedesca della Commissione europea – in pratica una giravolta non a 360 ma a 480 gradi con volo carpiato, e prima ancora con l’elezione del presidente del Parlamento sovranazionale. Avvisaglie di quello che ancora una volta potrebbe passare per un coup de teatre, ma che si qualificherebbe in modo ben più grave se onesta’ facesse rima con politica, un rovesciamento di fronte pudicamente e farisaicamente definito discontinuità, ma che dovrebbe fare orrore ai sinceri democratici e non solo in Italia.
Una riflessione a parte merita quello che dovrebbe essere il premier del nuovo esecutivo, il presidente del Consiglio araba fenice, Giuseppe Conte, alias avvocato del popolo. A parte le definizioni altrui e quelle date a se stesso, un personaggio quanto meno complesso che ha saputo rinascere dalle ceneri del governo giallo verde da lui presieduto e trasformarsi nel nuovo garante del nuovo contratto della nuova spuria e assurda alleanza. Un capolavoro, sulla pelle degli italiani.
Infine, una considerazione sul Quirinale. Da molti mesi il presidente della Repubblica richiamava alla chiarezza e alla stabilità i dioscuri duellanti, chiedendo il rispetto dei parametri di bilancio e le scelte concrete per l’economia oltre che un quadro di rapporti internazionali dei quali è costituzionalmente garante. Le risposte arrivate non sono state all’altezza della gravità della situazione. Di qui l’evoluzione della crisi e il nuovo richiamo alla concretezza verso i probabili futuri alleati. Ci sia consentito esprimere qualche riserva sulla loro capacità di essere anch’essi all’altezza. Due perdenti al voto non fanno la differenza e grillini e Pd sono creature sostanzialmente diverse e inconciliabili. Per il Pd non è un’occasione ma un rischio mortale e il ravvivarsi di Leu e satelliti ne è la triste controprova. Un’ammucchiata di sinistra più pezzi cinquestelle non è un governo per il paese, ma un mesto ripiego per gestire il potere. Se non fosse ancora una volta in gioco il paese intero, potremmo dire che non è una cosa seria! E se sarà, per i veri democratici vorrà dire che la battaglia continua!