L’accusa dei vescovi africani all’Occidente
Il tema dei migranti è certamente uno di quei problemi destinati ad occuparcene per chissà quanto tempo ancora, creando purtroppo due tifoserie di pro e di contro.
Intanto il nuovo Governo giallo-rosso, come primo atto di solidarietà ha tolto quella che per molti ben pensanti è stata una vergogna da cancellare per il nostro Paese, ma tenacemente voluta dall’ex ministro degli interni Matteo Salvini, parliamo della chiusura dei nostri porti alle navi delle Ong cariche di profughi salvati in mare.
Un simbolo di disumanità, un atto a cui nessun governo dovrebbe mai neanche ipotizzare, si è detto molte volte durante il governo precedente.
Leggo, però, su un giornale una dichiarazione assai eloquente: “Ciò che l’Italia sta affrontando (il numero crescente di migranti.ndr) è “ai limiti della capacità di gestione e con un impatto sulla vita socio-politica del Paese. Per questo l’Europa non può voltarsi dall’altra parte. L’Italia potrebbe chiudere i porti alle navi di soccorso delle Ong che non battono bandiera italiana”.
Una frase che esprime tutta la preoccupazione del governo italiano per ciò che accade sulle nostre coste arrivando come detto alle conseguenze estreme, ma curiosamente non è Salvini a parlare, ma dell’ambasciatore Maurizio Massari rivolgendosi al commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos per conto del governo Gentiloni.
L’articolo, per chi fosse interessato, è stato pubblicato il 28 giugno del 2017 sul Sole 24 Ore. Riportando queste dichiarazioni non si vuole fare alcuna polemica, solo ribadire che il problema non nasce con Salvini, ma viene da lontano ed è sempre stato, ormai da almeno vent’anni, al centro della nostra politica perché il dilemma sui migranti rimane sempre lo stesso: combattere la cosiddetta invasione oppure integrarli o, meglio ancora, ridistribuirli come dei pacchi postali un po’ in tutti i Paesi Ue?
Un dilemma non da poco che vede impegnate le anime belle e progressiste europee aperte all’entrata dei migranti senza alcuna eccezione, specialmente dall’Africa, il nostro continente dirimpettaio.
Peccato che difficilmente si sente anche l’opinione proprio degli africani, di coloro che vivono e lavorano per lo sviluppo del loro Paese e da coloro che sono più impegnati per la crescita sociale e civile come la parte più viva della Chiesa africana e proprio dai suoi vescovi che arrivano, purtroppo inascoltati, gli allarmi sul flusso migratorio in Europa specialmente quello dei giovani attratti dall’idea di trovare in Europa un nuovo Eldorado che non esiste.
Inascoltati, specie da quando è iniziato il pontificato di Bergoglio con le sue politiche di apertura alla solidarietà in nome della misericordia è certamente tra i principali propugnatori delle frontiere aperte a chiunque lo voglia, dimenticando, però, l’impatto sociale ed economico che si viene a creare nella società ospitante.
Il cardinale nigeriano Francis Arinze, già a capo della Congregazione per la dottrina della fede, l’ex Santo Uffizio, che ha vissuto sulla propria pelle la condizione di rifugiato, ha rilasciato il mese scorso una intervista assai polemica sul mensile americano Catholic Herald.
Nel ricordare quanto sia triste lasciare il proprio paese e i propri affetti afferma che: “Ogni governo deve capire, a quante persone si può provvedere? il che non significa solamente permettere “l’entrata” a chicchessia. Alle persone occorrono, per una vita dignitosa, anche un lavoro, una famiglia ecc.”, altrimenti, aggiungiamo noi, vanno ad ingrossare le fine dei nuovi emarginati.
Con accorato appello si rivolge ancora ai governanti europei, per non incoraggiare con le loro politiche i giovani africani a lasciare le loro case per un paradiso che non esiste mentre le nazioni europee dovrebbero aiutare, se spinti da sentimenti di vera solidarietà, i Paesi da dove proviene questa gente.
Certo chi fugge da situazioni critiche va sempre aiutato, ma aggiunge subito dopo: “che a farlo sono, di massima, i più giovani, i più robusti, e non tanto per cause di forza maggiore, quali la guerra o la fame, quanto perché attratti dalle sirene del consumismo e di una certa propaganda occidentale”.
Il risultato di questa assurda politica migratoria è che in Africa rimangono solo i veri poveri, quelli senza i soldi per fuggire come i vecchi, le donne e i bambini e l’intero continente viene ulteriormente indebolito, altro che aiuto!
Gli fanno eco altri importanti prelati africani come il card. John O. Onaiyekan per il quale “Abbiamo bisogno dei nostri giovani qui in Africa e non vogliamo”, aggiunge, che “affrontino la morte nella traversata del deserto e del mare, oppure la perdita di ogni dignità finendo schiavi, criminali o mantenuti”.
Sullo stesso tono anche il presidente della Conferenza episcopale del Congo, Nicolas Djomo, che insiste, inascoltato, anche sui pericoli per l’Europa di un “invasione islamica”.
Una altra figura di spicco tra i porporati africani è il card. Robert Sarah.
Nato in Guinea, da anni contesta le posizione estreme del Vaticano su vari argomenti primo fra tutti le migrazioni dall’Africa e sulla necessità di fermare questa emorragia di uomini.
Nel suo recente libro “La sera arriva e il giorno volge” parla direttamente di un “disastroso collasso dell’Occidente, conseguente ad una crisi culturale ed identitaria dovuta ai processi migratori”.
Un fenomeno incontrollato che porta l’Europa ad autodistruggersi: uno scenario apocalittico che si intravede già nel titolo del suo libro.
Quanta propaganda inutile fatta dall’Occidente, è la sua dura critica che:” vuole essere aperta a tutte le culture e tutte le religioni del mondo, promette una migrazione sicura, ordinata e giusta”, ma il risultato è un vero fallimento che porta con sé paure, squilibri umani e sociali e situazioni incontrollate, come vediamo oggi specie nelle periferie delle grandi città europee.
In questo quadro allarmante si domanda: “Come si svilupperanno le nostre nazioni africane se così tanti lavoratori sceglieranno l’esilio? Quali sono queste strane organizzazioni umanitarie che attraversano l’Africa per spingere giovani a fuggire promettendo loro una vita migliore in Europa?”, si chiede Sarah.
Per il cardinale, l’obiettivo deve essere quello che già propugnava già Benedetto XVI, affermando che “il primo diritto dell’uomo era quello di non essere costretto ad abbandonare la propria terra d’origine”, in quanto, afferma ancora nel libro: “lo sradicamento culturale e religioso degli africani che vivono nei Paesi occidentali che a loro volta stanno vivendo una crisi senza precedenti, è un terreno fertile per ogni dramma sociale”.
L’unica soluzione, per Sarah, è lo sviluppo economico in Africa senza dover emigrare, un idea semplice, ma difficile da penetrare, almeno oggi, attraverso le alte Mura Leonine che circondano il Vaticano.
Di Antonello Cannarozzo