Esteri

TURCHIA: L’ORA DELLA VERITÀ

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Una questione di ore. Il tweet con il quale il Presidente Donald Trump ha annunciato il ritiro del contingente americano dalla Siria settentrionale, era il segnale che il suo omologo di Ankara aspettava da tempo per chiudere definitivamente i conti con le milizie curde che controllano la zona. Al confine meridionale turco si sta ammassando un contingente imponente pronto a valicare la frontiera e scontrarsi apertamente con i combattenti delle YPG, le Unita’ di Protezione Popolare che in questi anni hanno costituito la spina dorsale delle Forze Democratiche della Siria, l’alleanza curdo-araba che, con l’ausilio degli Stati Uniti, ha permesso di smantellare la presenza dello Stato Islamico nel paese. L’annuncio di Trump, arrivato all’improvviso, si scontra peraltro con il parere di molti generali del Pentagono che ritengono indispensabile la presenza sul campo di un contingente a stelle e strisce. Secondo gli alti ufficiali non e’ solo questione di onore e di parola data, ma di considerazione strategiche: prima tra tutte evitare un ulteriore bagno di sangue alla popolazione della regione che avrebbe conseguenze nefaste in tutto il Medio-Oriente, con flussi di profughi destinati a riversarsi in un primo tempo nei paesi limitrofi per poi intraprendere la via dell’Europa. Secondo alcuni analisti di Washington, dietro la decisione di Trump ci sarebbe la volontà di riallacciare le relazioni con Ankara, ancora bollenti dopo il tentato golpe ai danni di Erdogan del 2016, e soprattutto di sganciare la Turchia dall’alleanza con Russia ed Iran, dopo le recenti tensioni nel Golfo Persico tra il paese degli Ayatollah e l’Arabia Saudita. Sul fronte strettamente militare inoltre non e’ detto che l’invasione turca del nord-est della Siria sia automaticamente un successo. I soldati di Ankara si troverebbero di fronte le milizie curde agguerritissime e disposte a non concedere nessuna porzione del loro territorio, come ha annunciato il portavoce delle forze curdo-siriane Mustafa Bali, costi quel che costi. Questi anni di guerra contro l’ISIS, hanno migliorato notevolmente la capacita’ combattiva dell’YPG e solo ricorrendo a massicci bombardamenti sui villaggi, con conseguenze nefaste sui civili, poterebbe consentire all’esercito della Mezzaluna di avere qualche possibilità di successo. Inoltre la popolazione del Rojava potrebbe contare sull’aiuto delle altre comunità curde della regione: sia in Iraq sia nella stessa Turchia che scatenerebbero un pandemonio, destabilizzando tutta l’area tra l’Eufrate ed il Tigri con conseguenze incalcolabili, dopo la relativa pace seguita alla guerra civile irachena e a quella siriana. Uno scenario apocalittico dunque ma che non sembra influire sulla volontà di Erdogan, acciaccato nei consensi in patria e determinato a riprendersi il centro della scena politica scatenando una guerra che metterebbe lo stesso popolo turco in uno stato di perenne tensione.  

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