La parola della settimana
Non sembri riduttivo ed ingeneroso con la realtà ma quanto accaduto in Parlamento con la decisione del taglio dei parlamentari, conclusione di un lunghissimo confronto e cavallo di battaglia dei cinquestelle, lascia perplessi. Sono trascorsi molti lustri e tanti, tanti anni fa, una decisione come quella assunta dalle Camere avrebbe ricevuto dai cittadini un grande sostegno e una convinta adesione. Parliamo di quando il Parlamento era centrale nella vita del paese e si affrontavano con impeto e con forza riforme e passaggi decisivi per la democrazia e per il suo rafforzamento.
Oggi, che il risultato è quasi raggiunto tutto appare sotto tono, se si escludono i consueti teatrini dei pentastellati, il primo fu quello che annunciava la fine della povertà nel governo gialloverde ed oggi quello che ha osannato la fine dello spreco dei soldi degli eletti in sovrannumero. Risparmi ci saranno, ovviamente, ma non sono tali da provocare una “rivoluzione” nei conti pubblici. Ma c’è di più, poiché Camera e Senato hanno una contabilità e un’amministrazione separata da quella degli altri enti pubblici, non è affatto detto e scontato che i cittadini potranno usufruire di questo risparmio tanto propagandato. Come sempre non tutto è oro quello che riluce e nel caso dei grillini si aggiunge come dicevamo alla scomparsa della povertà in Italia che tutti abbiamo sotto gli occhi, così come il grandioso e risolutivo risultato del reddito di cittadinanza!
Ci sarebbe da trasalire ad ogni passo se non fosse di tutta evidenza che la trama del governo giallorosso, a parte il lavoro dei responsabili dell’economia che devono gestire le partite cruciali per ridare slancio al paese e non possono occuparsi di molto altro, si stia giocando sui cosiddetti punti del programma della discontinuità (versione riveduta, corretta e a la page, di quelli contenuti in quello del cambiamento) una disfida sostanzialmente fasulla tra i maggiori partiti alleati, una commedia dell’arte dove quasi sempre a conclusione tutti appaiono d’accordo su alcuni risvolti non di poco conto.
Prima di approfondire questo punto, occupiamoci della parola che dà sostanza a quanto stiamo analizzando. Il vocabolo è melina (parola che probabilmente deriva dal gioco della melina, com’era chiamato a Bologna, dove in dialetto si parla del zug dla mléina, espressione peraltro d’incerta origine) e che indica un tipo di gioco diffuso anche altrove, consistente nel passarsi un cappello lanciandolo sopra la testa del suo proprietario, impedendogli così di re impossessarsene. Il termine si ritrova anche nella pallacanestro dove agire facendo melina vuol dire cercare di trattenere la palla, a scopo ostruzionistico, al limite dei modi consentiti dal regolamento.
Locuzione che è poi passata anche in altri giochi (come calcio, pallanuoto) a indicare la serie di azioni costituita da passaggi continui e sterili tra compagni per guadagnare tempo allo scopo di salvaguardare il punteggio favorevole acquisito. O ancora si vuole indicare l’atteggiamento consistente nel mettere tempo in mezzo, ovvero cincischiare, esitare, nicchiare, tergiversare, titubare, traccheggiare.
Tornando alla riflessione, ripetiamo al di là di un indubbio valore che imporrebbe un cambiamento in prospettiva all’intero sistema, la scelta di far passare il taglio non è assolutamente e non potrà essere risolutiva. Prima di vedere all’opera questa riforma costituzionale infatti occorrerà attendere o la fine della legislatura anticipata o la sua conclusione naturale. E, nel frattempo occorrerà arrivare ad un ridisegno dei collegi elettorali, ad una modifica delle funzioni del Senato e persino – le indicazioni altisonanti delle quali si sente parlare – delle modalità con le quali si eleggerà il nuovo presidente della Repubblica. Che in poco più di tre anni possa vedersi realizzato un simile libro dei sogni o degli incubi che hanno reso travagliati decenni di vita repubblicana, appare assolutamente irrealistico e per ciò stesso offensivo per le speranze del Paese e per il popolo italiano.
E’ di tutta evidenza che una rondine non fa primavera e se può far star meglio per qualche ora i parlamentari e i ministri grillini, non avvia nessun cambiamento virtuoso. E può al massimo far piacere a qualche simpatizzante del movimento che vede realizzarsi i mitici scopi della sua nascita. In pratica scardinare la democrazia così come prevista dalla Costituzione, per instaurare il mitico scenario immaginato dai guru: una sorta di film horror con la piattaforma Rousseau nel ruolo del leviatano
che deve modificare tutto e capovolgere l’esistente.
In questo evidente rimpiattino, gioco al rimando, palleggio e via dicendo, si staglia il vero significato dell’accordo raggiunto dal Pd e dal movimento guidato da Di Maio.
Per quello che fu il partito della sinistra tornare al governo per poter costruire nuovamente il percorso che porterà al nuovo inquilino del Quirinale e recuperare consensi; per i grillini provare a risalire la china negativa dovuta alla incompetenza strutturale eretta a sistema di governo e diventare inesorabilmente nient’altro che un partito come gli altri, in ciò scimmiottando proprio quel Pd tanto vituperato sino all’altro ieri e indicato come partito del sistema tanto contrastato e odiato. Insomma oggi che si va d’amore e d’accordo e che per le finalità sopradette si fanno anche apparenti polemiche ma ci si guarderà bene dal dichiarare forfait, uno spettacolo indecoroso soprattutto per il Pd e per la sinistra italiana che proprio con questo abbraccio dimostra la fine di ogni spinta ideale e la pura necessità di agguantare il potere per non finire nel nulla. E che questo si faccia con i pentastellati appena ieri alleati con la destra non rileva anche se dovrebbe in teoria provocare forti disturbi gastrici ed anche mentali! Una melina, allora, una commedia dell’arte per i teatranti, una tragica farsa per il popolo italiano che non sembra più avere dinanzi alcuna vera chance di cambiamento e di futuro!
di Roberto Mostarda