tra lessico, dialetto e vernacolo
La lingua è un organismo vivo. Ed è un organismo in continuo mutamento, dal momento che si modifica senza sosta la società in cui essa viene utilizzata. Basterebbe prestare attenzione al lungo processo che ha portato il latino a diventare quelle che oggi si chiamano lingue romanze per accorgersi di ciò. Eppure tra queste lingue romanze l’italiano è la più conservativa: quella cioè che è rimasta più vicina al latino. Vi sono poi il provenzale (parlato nel sud della Francia), lo spagnolo ed infine il francese. Ciò è indicativo della società in cui queste lingue si sono sviluppate: l’Italia è sempre rimasta legata alle proprie tradizioni, ed infatti è un paese con un patrimonio storico, artistico e culturale stupefacente. Come in tutte le cose però, anche nella lingua non si può rimanere per sempre arroccati nella fortezza delle proprie convinzioni, bisogna avere una mente responsabilmente aperta, che sappia trovare il giusto compromesso tra tradizione e modernità.
Il dibattito sulla lingua italiana è antico di secoli: cominciò nei primissimi anni del 1300, quando Dante Alighieri scrisse il De Vulgari Eloquentia (Sulla parlata volgare). Da allora è andato avanti ininterrottamente, passando da argomenti quali il canone per la lingua scritta all’apertura di questa verso la lingua parlata al rapporto con i dialetti. Tanto è stato detto e tanto è stato fatto, sia in direzione di apertura che di chiusura, ma la lingua ha continuato a svilupparsi, incurante di ciò che le capitava intorno.
Si può ritornare nuovamente al latino per constatare che nel corso della storia raramente lingua scritta e lingua parlata sono venute a coincidere: lo stesso Cicerone, considerato il più autorevole esempio del latino “classico”, nelle epistole private utilizzava un latino meno ‘letterario’. Questo perchè la lingua non è un monolito uguale in tutte le sue parti: ve ne sono tantissime varietà, che si diversificano in base alla circostanza comunicativa (variabile diafasica), al mezzo di comunicazione (variabile diamesica), alle condizioni sociali (variabile diastratica) ed al luogo in cui vive chi parla o scrive (variabile diatopica).
Gli ultimi due punti ci portano al rapporto della lingua con il dialetto. Troppo spesso il dialetto è stato visto come qualcosa da rifuggire, come la lingua parlata dalle persone poco colte; questo sta portando ad una progressiva scomparsa dei dialetti. Non possiamo permettere che ciò accada: essi fanno parte della nostra identità e del nostro patrimonio
culturale tanto quanto l’italiano. Ogni dialetto è unico. Ogni parlante, soprattutto i più giovani, dovrebbe imparare il dialetto come parte della propria identità individuale e parlare l’italiano come parte dell’identità comune.
In conclusione mi sento di dire che non esistono delle istruzioni per l’uso della lingua italiana, esistono delle strutture grammaticalmente e sintatticamente migliori di altre, esistono delle varietà alte e delle varietà basse, ma il modo in cui parliamo e scriviamo rispecchia ciò che siamo ed ognuno è libero di essere ciò che vuole.