E’ cominciata lo scorso ottobre con l’intento di cambiare radicalmente lo status etico ed economico di una delle più complesse civiltà del Mediterraneo. La contestazione che infiamma il Libano sta assumendo di giorno in giorno una valenza dirompente, destinata a plasmare i precari equilibri instauratisi nella regione. Beirut da mesi è paralizzata da un’ondata di proteste che non invocano solo un cambiamento sociale, ma una sostanziale riforma delle politiche fin qui messe in campo per mantenere una pace tra le rispettive comunità che popolano il paese: Sunniti, Maroniti, Sciiti, Drusi. Una sorta di spartizione di poltrone e di potentati economici che, dall’epoca dell’indipendenza dalla colonizzazione francese, contraddistingue il panorama istituzionale libanese. Un equilibrio d’influenze destinato inevitabilmente a sfibbrarsi, sotto il peso dei cambiamenti etnici e demografici in corso da decenni. Primo tra tutti la diaspora palestinese, cresciuta negli anni a dismisura nella baraccopoli delle maggiori città del paese. Quello che sta succedendo quotidianamente in Libano non è classificabile dunque come una delle effimere “primavere arabe” che hanno infiammato il Medio-Oriente all’inizio di questo decennio. Il Paese dei Cedri infatti ha sempre potuto contare su una consapevolezza dei propri diritti, estranea alla maggioranza delle popolazioni dei paesi limitrofi, sottomessi da dittature o Stati totalitari, che non hanno consentito l’affermazione di una diffusa coscienza civica. Una facoltà che ha spinto centinaia di migliaia di cittadini a riempire le maggiori piazze del paese. Una mobilitazione che ha indotto il Premier dimissionario Saad Hariri a varare un piano di riforme che dovrebbe riplasmare la politica libanese, giudicato però insufficiente dalla maggioranza dei manifestanti che continuano a scendere in strada nonostante la repressione della polizia che ha causato svariati morti e centinaia di feriti, soprattutto tra le fila degli studenti, vera testa d’ariete di questa protesta. Nelle ultime ora le massime cariche del paese: dal Presidente libanese Michel Aoun al Presidente del Parlamento Nabih Berri passando per lo stesso Premier Saad Hariri, si sono incontrate per definire un percorso condiviso che consenta di uscire da questa crisi che, oltre al prezzo delle vite umane, ha causato una fuga di capitali che rischia di mettere in ginocchio la fragile economia del paese. Lo snodo potrebbe essere un passo indietro di Hariri che, non candidandosi, potrebbe calmierare la situazione. Vedremo se il senso di responsabilità del leader della comunità sunnita prevarrà sulle logiche consociative che hanno finora dominato la politica libanese.
di Diego Grazioli