La parola

GUERRA

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La parola della settimana

Non è certo originale la scelta del vocabolo di questa settimana. Ma è evidente che sia quello che risuona di più nell’informazione, tra la gente, nelle stanze della politica.
Cerchiamo allora di indicare qualche elemento per capire di cosa si parla.
In linea generale si può dire che la parola indica il fenomeno collettivo che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati. Una situazione che possiamo senza tema di smentita osservare fa parte sin dalla preistoria della vicenda umana tanto da aver fatto pensare nei millenni e nei secoli che essa fosse una forma di esercizio della politica sotto altra forma. Le trasformazioni cui è stata soggetta quella che potremmo indicare come guerra tradizionale nel 20° secolo stanno portando tuttavia a un profondo ripensamento di tutte le categorie con le quali tradizionalmente gli studiosi delle varie discipline hanno affrontato i temi della guerra, delle sue cause, della sua legittimità, del suo contesto, del suo rapporto con la politica e dei possibili modi per costruire la pace attraverso il diritto e le organizzazioni internazionali.
L’etimologia ci porta ad un termine germanico: werra, con il quale si descrive un conflitto aperto e dichiarato fra due o più stati, o in genere fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, nella sua forma estrema e cruenta, quando cioè si sia fatto ricorso alle armi. Seguendo il dizionario la questione nel diritto internazionale è definita come una situazione giuridica in cui ciascuno degli stati belligeranti può, nei limiti fissati dal diritto internazionale, esercitare la violenza contro il territorio, le persone e i beni dell’altro stato, e pretendere inoltre che gli stati rimasti fuori del conflitto, cioè neutrali,assumano un comportamento imparziale.
La storia sanguinosa del secolo breve ha condotto la comunità internazionale a cercare ogni strumento per impedirla. Ecco perché, la guerra è ripudiata dall’art. 2, par. 3 e 4, della Carta delle Nazioni Unite e, seppur ancora prevista in molte costituzioni è considerata una extrema ratio. In Italia l’art. 11 della Costituzione la rifiuta come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali o come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ed è ammessa solo come difesa nei confronti di aggressioni esterne.

Una guerra deve essere dichiarata e questo è l’atto con cui una potenza comunica a un’altra la sua volontà che si instauri tra esse lo stato di belligeranza, cioè che i rapporti reciproci siano regolati non più dal diritto internazionale di pace, ma da quello di guerra (con altro senso, lo stato di guerra è espressione equivalente a stato di pericolo pubblico, a quello cioè che fino al 1931 era chiamato stato d’assedio. Una guerra oltre ad essere dichiarata, può essere intimata, minacciata, provocata, quindi iniziata, intrapresa. Si può muovere guerra ad alcuno, fare la guerra. In guerra si può entrare, si può andare. O ancora si può condurre, guidare, dirigere, partecipare. Una guerra si può vincere, si può perdere. Esiste poi un’infinita casistica di espressioni per narrare una guerra, le distruzioni, i lutti, le devastazioni che essa provoca, la giusta o sbagliata causa che la scatena.
La storiografia è colma di esempi di ogni tipo di come essa possa scoppiare, di come possa essere inevitabile farla e non impedirla, come le ragioni anche inconfessabili perché nel passato anche recente si è arrivati ad essa. Esiste poi da secoli quella che viene indicata come arte della guerra, espressione certamente inquietante se dell’arte si ha una concezione di valore estetico e filosofico spesso coincidente con la bellezza, la poesia, i grandi sentimenti.
Arte della guerra è il complesso delle nozioni necessarie per la direzione delle operazioni belliche, di solito raggruppate nei tre settori della logistica, strategia e tattica; Le scuole di guerra sono speciali scuole superiori per la preparazione teorica e pratica degli ufficiali di stato maggiore. Con locuzioni tecniche si parla di legislazione di guerra, di legge di guerra, ossia complesso di norme adattate alle circostanze della guerra (invece, le leggi della guerra sono le regole dell’arte militare o le esigenze che la guerra per sé stessa impone agli stati belligeranti e agli eserciti). La legge di guerra è anchequella che viene applicata nei territori occupati o in quelli più vicini ai confini dove lo scontro si sta svolgendo. Le condizioni umane, civili ed economiche danno poi origine alla cosiddetta economia di guerra, ovvero il particolare tipo che si instaura nei paesi belligeranti e in genere in quelli che subiscono le conseguenze di un conflitto bellico, con trasformazioni che riguardano sia la produzione interna, sia gli scambî con l’estero, sia soprattutto la misura dell’intervento dello stato nella vita economica.
Quando poi il conflitto si conclude si parla sempre dei danni di guerra, dei risarcimenti o indennità dovute da uno stato a un altro stato, in seguito a una guerra svoltasi tra essi, a titolo di risarcimento per le perdite subìte dal secondo durante le operazioni belliche e per effetto di queste (nella pratica, l’obbligo del risarcimento è previsto soltanto per lo stato che subisce il trattato di pace, non per gli stati vincitori che lo dettano, i quali impongono il risarcimento mediante apposite clausole contenute nel trattato stesso).

La guerra può essere anche civile tra parti di uno stesso popolo, interna ovvero anche non dichiarata. Il secolo scorso ci ha fatto vivere una guerra fredda, ovvero complesso di azioni ostili, politiche, diplomatiche o di propaganda tra potenze antagoniste, tra le quali non è in atto un conflitto tradizionale. Gli anno del nuovo millennio (con qualche avvisaglia nel novecento) hanno invece portato alla ribalta quella che è stata definita
“asimmetrica”, ossia un conflitto che viene combattuto da uno stato o da una coalizione di stati contro un nemico che non è un altro stato, ma un entità non statuale, sovente di tipo ribelle. Una situazione che ha avuto e ha nel presente molti teatri in giro per il mondo.
In sostanza, parlare di guerra vuol dire parlare della storia dell’umanità, così come del tentativo dell’umanità di trovare gli strumenti per non utilizzare più questo strumento fatto di violenza, sopraffazione, sopruso. Un modo senza guerra è certo utopia da desiderare, ma ben sapendo che la strada è ancora lunga, tortuosa e irta di pericoli. Troppa belligeranza esiste infatti tra uomo e uomo, tra etnie, tra popoli, e via via peretti sempre più ampi.
Eppure la speranza di non veder più sorgere albe di guerra in ogni angolo del globo è forse la speranza più coriacea della quale l’uomo può essere capace!

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