E, per l’antico detto, “non si fa mai giorno”
Il riferimento ai ciarlieri, rumorosi e a volte irritanti bipedi è ovviamente casuale, tuttavia a ben guardare la situazione nella quale si svolge il confronto politico in Parlamento e nel Paese, desta qualche sospetto di analogia. Al di là del faceto di questo inizio, l’analisi sulla situazione politica italiana non consente di allontanarsi molto dal significato esteso dell’espressione usata, frutto di quella saggezza popolare che sempre aiuta il buon senso. Rintuzziamo subito qualsiasi obiezione che potrebbe essere fatta su presunte simpatie per “soli al comando”. E’ però di tutta evidenza che la compresenza di troppe voci spesso difformi se non discordi di esponenti di partiti e movimenti su temi identici, non manifesta la libertà di pensiero o di espressione come si potrebbe sottolineare, quanto invece la confusione completa e la difficoltà per i leader di agire con una voce unitaria rispetto ai grandi temi sui quali la politica deve esprimersi per poter continuare a svolgere il proprio ruolo se non di guida, di accompagnamento dello sviluppo se possibile e della crescita del Paese.
Non è necessario avviare un’analisi troppo approfondita perché la cronaca quotidiana ci pone di fronte alla questione senza mezzi termini. La sensazione prima che si prova è che nessuno tra forze politiche e movimenti applichi il metodo del dialogo e confronto interno che consente la formulazione di una proposta condivisa da sottoporre ad avversari e alleati. Non passa giorno che su ogni tema centrale, su ogni nodo strutturale tra i tanti, non si assista ad un concerto di opinioni, posizioni, indicazioni che se non cozzano una contro l’altra all’interno della stessa forza, sono certamente indice di quella situazione che un comico qualche anno fa definì con l’espressione “parlaimmo e nun ce capaimmo” (ovvero parliamo e non ci capiamo).
Il vero problema è che dinanzi a grandi temi come le linee di politica economica, industriale (vedi il caso acciaio ed ex Ilva o l’Alitalia), sulle infrastrutture e il sistema di gestione o concessione (caso Autostrade), e poco tempo fa la Tav, ma il tema si ripete anche su questioni come le scelte ambientali o svolta green che dir si voglia (o green deal), la gestione del ciclo dei rifiuti, le misure per la circolazione, non esiste alcuna condivisione e, quel che è scoraggiante, nessuna visione anche parziale che portino nel confronto ad una sintesi e a scelte conseguenti.
Se così non fosse non saremmo perennemente in attesa se l’altoforno dell’Ilva sarà o meno spento, se ancora una volta dobbiamo pagare come cittadini l’ennesimo intervento finanziario di sostegno della compagnia ex di bandiera, se nessuna via dignitosa si trova sul tema delle concessioni, rimanendo o ancorati al “revocare e basta” oppure al “passare tutto all’”Anas” dimenticando che la stessa Anas per legge dello Stato ha il controllo e le verifica sulle concessioni e dunque se errori ci sono stati l’Anas ne è compartecipe e non può essere la soluzione. O ancora, pur avendo avuto il placet per il riavvio dei lavori della Tav Torino-Lione, nessuno ne parla e sotto sotto c’è chi rinfocola l’eterna ribellione locale, dove a protestare sono soprattutto antagonisti, anarchici, senza patria e senza partito da sempre alla ricerca di situazioni “rivoluzionarie” e basta.
Una piccola rassegna che mostra però come sia arduo provare a costruire una linea e poi seguirla. Un altro mirabile esempio è quello della giustizia. Terreno urticante e spinoso di per sé dove l’evoluzione legislativa, la giurisprudenza, le norme dovrebbero tendere alla soluzione dei problemi strutturali di un sistema in affanno. E non dovremmo invece assistere ad eterni rifacimenti, ad eterni ritorni, a prevalenze di giustizialismo, velleitarismo in nome di comportamenti manichei degli uni contro gli altri.
Come non percepire poi sul fronte internazionale una completa disparità di vedute su quella che dovrebbe essere la politica estera del paese. In questi mesi di governi gialloverde e giallorosso, abbiamo ascoltato dichiarazioni a favore di Trump, a favore di Putin e e contemporaneamente anche a favore del leader cinese Xi Jinping. Il tutto condito di ribadita fedeltà alla Nato per esprimendo visioni che con la funzione dell’Alleanza Atlantica potrebbero essere in aperto contrasto. L’irrilevanza sostanziale nella vicenda libica, pur essendo il paese che si trova di fronte allo stato africano in auto dissoluzione, ha pratica manifestazione nell’irruzione nello scenario non solo della Francia, ma ora anche della Russia e della Turchia. Per non sottacere la gravità della situazione successiva all’uccisione da parte Usa del leader militare iraniano Soleimani, vicenda che necessiterà nelle prossime ore, giorni o settimane, di posizioni adeguate ai rischi immanenti che la vicenda ha messo in moto.
Ecco allora che sarebbe opportuno in tutti questi ambiti percepire una scelta di governo delle cose, la capacità di trovare una sintesi costruttiva ed applicarla. E’ quello che a parole ambirebbe a fare il premier ma che in pratica risulta impossibile.
Sia per la sua contiguità mai smentita ai cinquestelle e alle posizioni irrituali e sconnesse su molti temi, sia per la difficoltà di coordinare gli altri attori di governo.
Per non parlare dell’assoluta mancanza di un ruolo dialogante con l’opposizione dopo lo scontro e la permanente ostilità con il leader della Lega.
Insomma, pur guardando a 360 gradi è evidente che la molteplicità di voci,
l’affastellarsi di posizioni personalistiche, l’assenza strutturale di una visione condivisa stanno dando consistenza oggi più che in passato, al senso classico dell’espressione di partenza: quando sono troppi i galli a cantare non si fa mai giorno.
In altri termini vale la regola aurea della marineria: su una nave serve il contributo di tutti, ma a dirigerla tra le onde deve essere una sola voce, altrimenti gli scogli affioranti diventano pericolosi e si avvicinano! Non un uomo solo al comando, ma una sola voce che mediando sappia esprimere la sintesi che è poi la parte migliore dell’azione del governare!