La parola della settimana
Come tutti i vocaboli che si completano con il suffisso “ismo” anche quello scelto questa settimana assume generalmente un significato non positivo, critico e indice di comportamenti quanto meno discutibili.
Il termine nel dizionario delinea il complesso dei giochi d’equilibrio, e l’abilità di farli. Ma anche la capacità di destreggiarsi con abilità e spregiudicatezza in situazioni difficili o delicate. Un dato questo che si constata facilmente nel campo della politica, nel senso che si cerca di utilizzare ai proprî fini circostanze, condizioni, tendenze anche in contrasto fra loro.
Poche nozioni insomma ma capaci di disegnare scenari di notevole spessore che innestano sovente aspetti complessi e articolati. In stretto gergo politico il valore o disvalore – a seconda dei punti di vista – è certamente quello di riuscire a stare a galla per così dire, a dispetto delle proprie convinzioni o prese di posizione nel tempo, cercando di spostare a proprio vantaggio questioni in apparenza contrarie se non contraddittorie. In buona sostanza assumere atteggiamenti e comportamenti che se contraddicono la propria identità consentono di maneggiare vicende, stare in equilibrio appunto, anche quando non solo le leggi della politica, ma anche quella della logica e della fisica impedirebbero proprio quella condizione “equilibrata”.
Esempi di questa componente sono presenti da decenni nella politica nazionale e vengono personificati da politici che nel trascorrere dei decenni e delle legislature, riescono sempre a ritagliarsi un ruolo spesso nevralgico. A volte per consigliare nuovi ceti che si avvicendano al potere, altre volte per contrastarli cercando un improbabile ritorno al passato.
E’ altrettanto evidente che questo habitus sia in qualche modo trasmissibile, si estenda anche in territori in contrasto apparente con la sua logica. In pratica, pur cambiando persone, tempi della politica, partiti e movimenti, la capacità di destreggiarsi in una continua sfida alla logica dei contrari, riappare, torna a galla nei punti nevralgici della vita politica. Tanto da far sembrare “virtuoso” qualcosa che è sostanzialmente negativo e frutto di un’altra arte della politica, il compromesso. Dato questo che ha anche esso una molteplicità di significati spaziando da quelli critici e indice di negatività a quelli dove raggiungerlo può assicurare a volte accordi, intese, conclusioni di contraddittori, consentendo una tregua, una fase di equilibrio mentre la fantasia questa volta al potere immagina nuove evoluzioni e nuovi sviluppi cercando risposte alla richiesta del popolo, alle necessità di governare e di contemperare interessi.
Da quanto detto discende che l’attuale fase della politica nazionale manifesta in modo esponenziale il ricorso alle “ doti” dell’equilibrismo. Tutte le logiche con le quali il Paese ha vissuto gli scorsi decenni, tutti i partiti storici emersi nel dopoguerra e i movimenti poi trasformatisi in forze politiche sono saltate, nuovi sistemi di rappresentanza cercano di affermarsi a fatica, ma ineluttabile si riaffaccia nei gangli del nuovo proprio l’equilibrismo, la volontà di conciliare l’inconciliabile.
Gli anni recenti, quelli che hanno chiuso la mai nata seconda repubblica e quelli che stanno caratterizzando la stagione dei cambiamenti o della discontinuità, con formule acrobatiche di alleanze politiche o parlamentari, hanno portato quasi al massimo grado la capacità non comune di stare in equilibrio, a galla tra opposti anche di difficile conciliazione.
L’epigono di questa arte di bilanciamento è senza alcun dubbio quello rappresentato dal presidente del Consiglio, passato da un’alleanza all’altra sulla base di programmi opposti, di linee di governo economico, di politica estera, di politica sociale tra loro inconciliabili e in aperto contrasto. In ogni passaggio, sia quello dell’esecutivo gialloverde , sia il trapasso dall’uno all’altro e poi nell’attuale coalizione, il premier ha manifestato doti non comuni di tessere una tela continua pur tra logiche opposte, assumendo con assoluta tranquillità ogni parte in commedia, ponendosi come garante dei passaggi più difficili, cercando di piegare al proprio disegno le evidenti contraddizioni che emergono tra i partiti della coalizione. La sua capacità si fonda su un semplice assunto: pur avendo un riferimento nel movimento cinquestelle che lo ha indicato, non ha in realtà una sua maggioranza, non dispone di una rappresentanza parlamentare e ha dovuto costruire un ruolo di cerniera, di garanzia per stabilizzare un’intesa tra opposti , malgrado le profferte del Pd per immaginare un’intesa con il movimento in chiave di legislatura.
Di qui, in poco tempo, sempre più in modo evidente, ha delineato quello che è il suo attuale ruolo, l’elemento distintivo: una non comune capacità di destreggiarsi, un equilibrismo divenuto la chiave stessa per interpretarne l’azione e le decisioni. E anche per qualificarsi nel quadro nazionale e anche internazionale con una sua propria visione e lettura degli avvenimenti, dei passaggi, delle scelte da assumere o proporre alla “sua” coalizione. Con il contraltare dei componenti della coalizione che ne debbono necessariamente sostenere l’azione, pena la dissoluzione dell’alleanza e quindi dell’esecutivo che ne è espressione. Un piccolo capolavoro che certamente non presenta elementi di valore politico o prospettico, ma dà sostanza all’impossibilità di mollare. I prossimi appuntamenti elettorali con il loro risultato, porranno interrogativi o daranno risposte. In entrambi i casi il cemento dell’intesa giallorossa resta lui, il premier non eletto, ma cooptato dai grillini, nella migliore tradizione di quella che una volta fu l’Unione Sovietica. Strano destino anche per il
Pd e per il suo tentativo di rigenerarsi ancora una volta!