Esteri

LIBIA: UN AFFARE ITALIANO

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L’obiettivo cercato e non raggiunto dal nostro Governo, è sfuggito di mano anche all’onnipotente Presidente russo Vladimir Putin. Trovare un compromesso tra i due uomini forti che da mesi a colpi di mortaio e kalashnikov si stanno contendendo la Libia: Fayez al-Serraj e Khalifa Haftar. È stato proprio il leader della Cirenaica, forte della sua potenza militare, a far saltare il banco all’ultimo momento, lasciando precipitosamente Mosca alla volta di Bengasi, una scelta con tutta probabilità concordata con lo stesso leader russo, consapevole dei vantaggi per il proprio paese di una vittoria del generale libico. Una partita strategica che mira a sedimentare l’influenza russa in Libia.
I due leader, nell’incontro avvenuto al Cremlino, hanno comunque deciso evitare la definitiva resa dei conti, in attesa della Conferenza di Berlino prevista per domenica prossima alla quale parteciperanno i principali attori di questa crisi, cioè Russia, Turchia, Italia, Algeria, Germania oltre a rappresentanti di Cina, Stati Uniti, Regno Unito e di alcuni paesi africani. Un vertice sponsorizzato dalle Nazioni Unite, che dovrebbe definire una road map che alleggerisca la tensione e scongiuri una guerra civile a tutto campo che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per tutto il Mediterraneo. Il niet arrivato nelle ultime ore da Haftar condizionerebbe però l’iniziativa diplomatica che a questo punto potrebbe addirittura saltare. I paesi europei si sono detti pronti a predisporre una forza di interposizione tra i due contendenti sul modello già sperimentato in Libano. Una missione militare ad alto rischio, che nei fatti favorirebbe il solo Governo di Unità Nazionale del Premier al-Serraj, sotto assedio a Tripoli e nell’area occidentale del paese. Se i rinforzi inviati dall’Europa dovessero scontrarsi con le milizie dell’Esercito Nazionale Libico, si arriverebbe ad una guerra a tutto tondo, con il nostro paese in prima linea nelle operazioni. C’è poi il fattore Turchia a condizionare sia la soluzione diplomatica che quella militare di questo complicato puzzle. Il Presidente turco Recep Tayyp Erdogan e quello russo Vladimir Putin erano fondamentalmente d’accordo per una spartizione della Libia in aree d’influenza, che avrebbe consentito ai due paesi di dividersi lo sfruttamento dei ricchissimi giacimenti petroliferi.
Una soluzione che avrebbe di fatto estromesso l’Italia dai lucrosi affari economici soprattutto nella regione della Tripolitania. Attraverso l’ENI infatti il nostro paese dal 1959 è presente in Libia, le cui riserve energetiche rappresentano il 16% della produzione di idrocarburi del cane a sei zampe. un bottino che fa gola a molti, in primis alla Turchia. Per questo l’intervento di Ankara nel teatro della crisi ha destato forte preoccupazione nei piani alti delle nostre istituzioni. Nonostante la validità dei contratti in essere, molti dei quali sottoscritti all’epoca di Gheddafi, è chiaro che se il Governo di Tripoli dovesse sopravvivere solo grazie ad un intervento dei soldati della Mezzaluna, per l’Italia sarebbe una batosta economica di enormi proporzioni. La fragilità del nostro paese d’altronde è un dato assodato da almeno un ventennio, cioè dalla fine della guerra fredda. Senza lo scudo di Washington infatti l’Italia può fare ben poco per tutelare i propri interessi in contesti bellici che hanno bisogno di uno sforzo militare per noi insostenibile. Vedremo dunque se l’amministrazione Trump prenda la decisione di appoggiare esplicitamente il nostro paese in questo determinante frangente della crisi libica, perché se così non fosse a trarne maggiore vantaggio sarebbero proprio quelle nazioni avverse alla visione geopolitica americana, cioè Russia e Turchia. In questo complicatissimo risiko c’è infine la questione francese. L’Eliseo, dopo aver spodestato Gheddafi ai tempi di Sarkozy, sta di fatto appoggiando Khalifa Haftar e la sua offensiva verso la Tripolitania, vedremo dunque se nei nostri vicini transalpini prevarrà l’interesse europeo oppure si giocheranno la carta della tutela dei propri vantaggi nazionali ed in particolare delle concessioni di sfruttamento dei pozzi che verrebbero assegnate alla multinazionale francese Total. Una prova del fuoco per tutto il Vecchio Continente, formalmente unito ma in realtà diviso da questioni sostanziali che il terreno della guerra in Libia è destinato a rinfocolare.

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