Con il Coronavirus tornano anche tutti i nostri problemi economici
“O il Piave o tutti accoppati”, si leggeva in una celebre foto della Grande Guerra sul muro di una casa distrutta dai bombardamenti a ridosso dell’ultima linea difensiva dopo il disastro di Caporetto.
Occorreva in quei giorni avere tanto coraggio e fiducia per combattere e vincere gli austroungarici, ormai entrati all’interno dei confini italiani come oggi il Coronavirus.
Anche noi, dunque, ci troviamo il nemico in casa il quale, come a Caporetto, ha travolto le nostre difese sanitarie in una marcia che sembra inarrestabile.
Dobbiamo ammettere che il virus ci ha trovati tutti impreparati non solo da un punto di vista sanitario, ma, come vedremo, anche economico.
Come se ciò non bastasse, siamo anche bombardati ogni ora del giorno da notizie di esperti nelle quali uno contraddice l’altro e dove abbondano le facknews che informano sull’epidemia in modo confuso ed allarmante, consigliando addirittura cure improponibili; ma questa, purtroppo, è l’informazione con la quale dobbiamo convivere in un mondo fatto tragicamente di social.
Ma il problema che dobbiamo affrontare con il Coronavirus è ancora più complesso. Riccardo Luna, su Repubblicaha scritto come attraverso la Germania, passando per la Baviera, il virus sia arrivato in Italia e, per ironia della sorte, ci fanno passare pure per gli untori del mondo. Allora, come cento anni fa un fante sconosciuto scriveva sulle rovine di un muro “O il Piave o tutti accoppati”, oggi anche noi dobbiamo fare di questo grido di battaglia la nostra forza.
Non ci si può arrendere al male, bisogna combattere, avere fiducia in noi stessi altrimenti, come hanno fatto notare non solo scienziati, ma anche molti economisti se non ci ucciderà il virus lo farà l’economia e non solo quella italiana, già gravemente in crisi, ma quella mondiale, facendo venire allo scoperto la fragilità dell’economia globalista senza regole dove cominciano a soffrire anche i grandi marchi internazionali e non solamente i nostri piccoli negozi sotto casa.
Per trent’anni siamo stati bombardati da entusiaste notizie di un futuro radioso grazie alla globalizzazione, della fine delle frontiere e tutto per un mondo più libero ed unito.
Tutte balle! Si è solo spostata la produzione mondiale in Asia facendo della Cina la fabbrica del mondo ed è nato così un termine assai drammatico per molti lavoratori, la de-industrializzazione divenendo in molti casi subalterni ad una ferrea tirannia comunista, ormai di fatto la prima economia del mondo e, sia detto per inciso, proprio la Cina ha esportato dappertutto il virus quasi in una legge del contrappasso.
Per fare qualche esempio Starbucks, la multinazionale americana che è riuscita addirittura a far cambiare usi tradizionali ai cinesi facendo consumare più caffè che tè, in questi ultimi due mesi di epidemia ha avuto un crollo proprio in Cina di 400 milioni di dollari, lo stesso vale per la grande catena di alberghi Hyatt che solo a febbraio ha perso il 90% delle prenotazioni in Cina così come anche per i marchi Nike o Adidas, ma la lista della crisi è assai lunga.
Uno dei volani dell’economia occidentaleera lo shopping del lusso che i nuovi ricchi cinesi facevano nel vecchio continente pari a 100 miliardi, insomma una cifra che può far crollare il mondo degli affari tanto che si parla delle Borse in completo panico come non si registrava dal famoso crollo del 2008–2009; e negli Usa si ripropone, come dodici anni fa, la proposta degli aiuti di Stato per evitare fallimenti traumatici alle aziende che si ripercuoterebbero sui lavoratori e poi sui consumatori.
In Italia, se il virus dovesse durare fino ad aprile, si è stimato un crollo di 6,5 miliardi nei consumi interni e turistici con una perdita secca per il nostro già martoriato Pil di altri 8 miliardi con il risultato di una débacle del nostro prodotto interno lordo di -3% e la probabile chiusura di almeno 30 mila aziende con i relativi posti di lavoro.
Anche le nostre eccellenze alimentari hanno subito un crollo dell’ 11% nell’esportazioni verso la Cina e del 27% nel mondo.
E pensare che nei primi anni Novanta, sembrano passati secoli, eravamo la vera quarta potenza industriale del mondo e per tutto il decennio degli anni ‘90 la produzione industriale italiana era cresciuta del 13 %, mentre quella tedesca solo del 3%.
Poi, grazie a due “giganti” della nostra politica, Ciampi e Prodi, siamo entrati orgogliosamente nell’euro e in questi ultimi venti anni la produzione italiana è precipitata del 17%, mentre quella tedesca è cresciuta del 27%.
Inutile fare ancora come si sente in tanti talk show improbabili difese della bellezza e utilità di stare nella Ue, le cifre parlano chiaro.
Con un Paese in queste condizioni, e il peggio che secondo alcuni analisti deve ancora venire, che senso ha, si sente dire, lasciare alla speculazione di Borsa le nostre già languide società per azioni; meglio sarebbe allora, come propongono in molti, chiudere la nostra Borsa per ora.
Un idea utile forse momentaneamente, ma certo drammatica per il segnale che si dà all’estero e ai famigerati mercati; per questo sarebbe utile avviare in tempi rapidi soluzioni che coinvolgano anche i nostri partner della Ue e della Bce, sempre che queste due entità politiche esistano veramente; e che abbiano un ruolo ulteriore a quello di mettere in riga i bilanci pubblici.
A questo proposito negli ultimi otto anni sempre prostrati ai voleri della Ue, l’Italia ha portato tagli alla Sanità per 130 miliardi, sicché oggi, davanti al Coronavirus, ci troviamo in uno stato di emergenza disastrosa con una Sanità che regge solo grazie al lavoro coraggioso di medici e infermieri.
Se avessimo coraggio come nazione dovremmo quanto meno riflettere sui tutti i tagli fatti per obbedire ai famosi parametri europei. Purtroppo, non siamo più una nazione indipendente, la nostra sovranità l’abbiamo buttata alle ortiche, al punto di non poter più neanche combattere una epidemia grave come il Coronavirus senza chiedere il permesso alla Ue di poter sforare il nostro bilancio, sempre con i nostri soldi, di appena 3 miliardi a fronte di almeno 20 che occorrerebbero subito.
È scoppiata così una guerra su parecchi fronti, sanitario, economico e sociale; una guerra che non lascia prevedere un futuro roseo non solo per l’Italia, ma anche per il resto del pianeta in genere.
Ashoka Mody, autorevole economista di fama mondiale, ha scritto in questi giorni che la concomitanza della crisi italiana con quella cinese potrebbe innescare una crisi globale catastrofica e prosegue sempre Mody: “In due decenni, da quando l’Italia ha adottato l’euro, gli italiani sono diventati più poveri. L’economia del paese permane in una recessione economica quasi perpetua”.
Chissà se saremo in grado di capirlo.
Nessuno vuole uscire dall’Europa, anche perché geograficamente è il continente dove siamo collocati, ma è troppo chiedere una Europa più giusta e più solidale tale da combattere, ad esempio, con armi più efficienti un nemico subdolo ed invisibile come l’attuale virus?
Ma la domanda che ci dobbiamo porre davanti a questo scenario è: siamo ancora in tempo per tornare indietro?