Quanto durerà ancora? Quante vittime dovremo ancora piangere e contare? E poi, avremo fatto tesoro di questa strage e della quarantena destinata a protrarsi, almeno nel nostro paese, ancora per mesi? Personalmente non credo. Finita l’emergenza si cercherà di tornare a correre come formiche impazzite alla ricerca del tempo perduto. Ci sarà bisogno di ricostruire un paese, relazioni umane, un tessuto economico sconquassato dalla recessione. Correremo di nuovo, ma nulla sarà come prima. “La globalizzazione è morta e sepolta. La distanza sociale sarà la regola”, ha recentemente dichiarato l’economista Jeremy Rifkin. “Andrà ridefinito tutto: lavoro, luoghi d’aggregazione, filiere alimentari, modalità di spostamento”. “Ci sarà anche un’ulteriore invasione nella privacy di ognuno di noi, unico modo per fronteggiare a distanza eventuali recidive del virus”, continua nella sua analisi l’economista americano. Urge dunque la creazione di una piattaforma blockchain su cui depositare i dati personali. Ma chi sarà il garante di questa enorme banca della conoscenza personale in grado di monitorare la vita di ognuno di noi. Le autorità nazionali? Le stesse che non sono state in grado di predisporre una rete comune sanitaria ed economica a salvaguardia della salute e del benessere dei propri cittadini? Sempre secondo Rifkin, la parola che contraddistinguerà il prossimo futuro sarà Glocal e non più Global. Questa crisi ha evidenziato che la globalizzazione imperante nell’ultimo ventennio ha fallito. Ci sarà bisogno di ridefinire le proprie sfere d’interesse, e da questo punto di vista l’Italia si trova in una posizione strategica di assoluto vantaggio, potendo contare sia sull’interconnessione con l’Europa del Nord, sia sulla fisica e culturalmente secolare presenza nel Mediterraneo. Se rinascita sarà dunque dovrà passare inevitabilmente per queste direttrici. Certo i comportamenti personali andranno cambiati, come ammonisce il capo economista della FAO Maximo Torero Cullen. Ogni anno tre miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate per errati comportamenti personali o per falle nella catena di stoccaggio e di distribuzione. Una quantità di risorse tali in grado di debellare l’esercito sempre più numeroso degli affamati nel mondo. Secondo un recente rapporto FAO, 820 milioni di persone vivono il dramma cronico della fame e 113 milioni sono assolutamente prive di sostanze di sostentamento. Una platea di affamati che potrebbe addirittura ingrandirsi se la pandemia del Coronavirus dovesse estinguere gli aiuti che dai paesi del primo mondo arrivano a quelli più indigenti. Una catena di solidarietà messa a dura prova dalle emergenze attuali. Se paesi benestanti come l’Italia o la Spagna sono costretti a chiedere delle misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza economica che sta attanagliando i paesi maggiormente colpiti dal Covid-19 e naturale domandarsi che fine faranno quelle nazioni che nell’epoca del benessere occidentale già vivevano a stento. Quando dunque ci rallegriamo che paesi poveri come Albania e Cuba si prodigano, con i loro pochi mezzi, nel venire in soccorso delle regioni italiane più colpite dalla pandemia, non dimentichiamo che la Grande Italia è ancora all’altezza di dare un esempio di solidarietà a quella parte di mondo che la globalizzazione ha sopraffatto con le sue ciniche logiche di profitto. Solo così il nostro paese uscirà più forte da questa drammatica crisi.
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