Cultura

Quando la storia si fa anche in cucina

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In un libro, i cuochi che servirono i più famosi dittatori del secolo scorso

Witold Szablowski è uno scrittore polacco che ha girato i quattro continenti alla ricerca di uno scoop, ma non di documenti segreti, di materiale compromettente o di verità nascoste, nulla di tutto questo, ha cercato semplicemente dei cuochi.

Si avete letto bene: cuochi, ma non quelli famosi come Gualtiero Marchesi, Gianfranco Vissani o Alain Ducasse, solo per fare alcuni nomi stellati, ma chef poco conosciuti che a modo loro, però, hanno partecipato alle vicende di questi ultimi decenni.

È una indagine di quella potremmo definire “storia minore”, ma in realtà disegna in modo perfetto, fuori dagli schemi agiografici, meglio quei dittatori con le loro manie, le tante loro miserie spesso in spregio del popolo che governavano.

I chef intervistati hanno cucinato, è proprio il caso di dire, a rischio della propria vita preparando piatti per dittatori, spesso paranoici, che non si lasciavano mancare prelibatezze nei loro piatti mentre il loro popolo moriva letteralmente di fame.

La ricerca dello scrittore polacco è stata complicata e non senza ostacoli perchè ha dovuto infrangere una cortina fatta ancora di paure e di sospetti dopo decenni dalla fine dei loro datori di lavoro.

Saddam Hussein

Abu Alì era il cuoco di Saddam Hussein e lo ha servito per molti anni quasi fino alla fine della sua tragica carriera politica. Il dittatore iracheno era a modo suo gentile, ma se non gli piaceva un piatto faceva pagare una multa al povero Alì e gli andava ancora bene che non lo facesse arrestare, pratica molto in voga a quei tempi, ma se il giorno dopo il piatto era di suo gusto allora gli ridava non solo i soldi della multa, ma ne aggiungeva altri come premio.

Saddam amava molto la cucina locale, era golosissimo ad esempio di Tikka, carne alla brace assai speziata, ma non solo, il pranzo consisteva sempre in 6 o 7 portate con uova, pesce, zuppa di lenticchie o di gombo, una specie vegetale originaria del centro Africa, alla quale si aggiungeva pollo e un abbondante barbecue ed infine a cena, almeno una volta a settimana, era di rigore il pesce al forno.

Nel team che formava la cucina di Saddam, il personaggio più importante non era però Alì, ma un certo Kamel Hana che aveva solo l’incarico di assaggiare tutti i piatti prima di portarli al dittatore per paura di avvelenamento nel cibo e, purtroppo, una volta prima di un pranzo importante il povero Hana ci rimise la vita, ma le cause non si seppero mai.

Idi Amin

Finché hai qualcosa di buono da mangiare per loro, c’è una possibilità che non ti uccideranno” è quanto ha dichiarato allo scrittore Otonde Odera, il cuoco che ha lavorato per Idi Amin dal 1971 al 1975. Il dittatore ugandese era certamente una persona non sana di mente con salti umorali improvvisi che potevano portare dalle stelle alle stalle o meglio al plotone di esecuzione chiunque non fosse per qualche motivo nelle sue grazie.

Secondo fonti dell’intelligence si calcola che siano stati trucidati negli anni della dittatura non meno di 300 mila persone spesso completamente innocenti.

Con un uomo così non è certo facile stare dietro ai fornelli, bastava un niente e la fine era dietro l’angolo. Il successo di Odera fu dovuto alla preparazione di un pranzo per ospiti occidentali, i quali una volta terminato vantarono la sua cucina pensando sicuramente fosse ad un cuoco ‘bianco’, a quel punto Amin con orgoglio lo presentò ai suoi commensali e da lì a poco lo fece ricco e famoso il suo cuoco in tutto il Paese.

Ma Amin era pur sempre un paranoico.

Un giorno Odera aveva cucinato, a detta dei commensali, un eccezionale dolce di riso talmente buono che il figlio del dittatore se ne ingozzò fino a star male.

Il padre pensò subito ad un avvelenamento e lo minacciò di fucilazione se il figlio fosse morto. Fortunatamente, come tutte le indigestioni anche questa passò e il destino fu magnanimo, è il caso di dire, perché il povero Odera non venne fucilato, ma condannato al carcere duro dal quale riuscì a liberarsi grazie ad una accordo con il Kenya di cui era originario e così fu libero.

Insomma, una brutta avventura che può felicemente ancora raccontare.

Enver Hoxha

Tra le dittature più feroci a pochi chilometri dall’Italia è stata certamente quella comunista dell’albanese Enver Hoxha che ha affamato ed isolato il suo popolo per oltre quarant’anni.

Nonostante siano passati trent’anni dalla fine della dittatura, il cuoco, pur rispondendo alle domande dello scrittore, era ancora sotto shock tanto da voler mantenere l’anonimato.

Cucinare per Hoxha significava essere a disposizione 24 ore su 24, ha raccontato, e sempre sotto stretta sorveglianza, neanche i suoi famigliari sapevano chi era il suo datore di lavoro ed nel suo staff non mancavano gli uomini della sicurezza interna.

Anche il cibo era sotto controllo; dalle fattorie, dove si mungeva il latte, a dove si faceva il formaggio e così via, se poi il dittatore aveva voglia di pesce fresco immediatamente partivano dei pescatori, sempre sotto controllo, per andare a pescare.

La fortuna di questo cuoco fu la provenienza dal paese di Gjirokaster, famoso per la sua cucina, per la quale Hoxha andava letteralmente pazzo, ma, avendo un forte diabete poteva mangiare pochissimo e in maniera assai monotona salvo qualche eccezione dove il nostro cuoco metteva tutta la sua maestria.

Un particolare curioso: se il dittatore era di cattivo umore subito il nostro metteva in tavola dei dolci per diabetici che piacevano moltissimo ad Hoxha e fu con questo stratagemma che qualcuno poté evitare il carcere o peggio, ma lo stesso valeva il cuoco, che ormai conviveva le sue giornate con la paura: “Tutti temevano che un giorno Enver si sarebbe alzato di cattivo umore e li avrebbe mandati tutti in un campo o uccisi” e spesso fu così.

Pol Pot

Yong Moeun fu il cuoco di un altro dittatore questa volta cambogiano, Pol Pot, di cui ancora non conosciamo quanti poveri cambogiani morirono per la sua folle rivoluzione comunista.  Accertati da organismi internazionali si contano almeno 4 milioni di vittime, ma c’è chi afferma molto di più per un Paese di appena 14 milioni di abitanti.

Moeun conquistò Pot grazie al pesce al forno e al pollo arrosto, insieme a prelibatezze come uova di tartarughe e tagli speciali di carne di elefante. Il dittatore amava anche dare consigli in cucina che dimostravano una sua conoscenza della cucina francese, ricordando Parigi dove era vissuto per molti anni da studente.

Una curiosità: la sua vera mania nella cucina dove non ammetteva errori era stranamente l’insalata che doveva essere condita in modo perfetto altrimenti erano guai seri.

Fidel Castro

Non[A1]  potevamo dimenticare, fra tanti dittatori, Fidel Castro ed il suo cuoco di fiducia Erasmo Hernandez.

A Fidel piaceva molto la zuppa di verdure ed in genere amava la cucina prettamente vegetariana solo in qualche occasione non disdegnava il montone con miele e anche una ricetta molto caraibica: quella del maialino da latte al forno.

Ciò che meravigliava lo stesso Hernandez erala colazione dove non potevano mancare mai le uova e questo ogni mattina insieme a fagioli e riso, inoltre, mentre era ancora a far colazione, non disdegnava un buon gelato di cui era ghiottissimo.

Non era esigente, ma, come per Enver Hoxha, se aveva voglia di pesce, fosse anche di notte, doveva partire qualcuno a pescare, ma non un pesce qualsiasi, ma una specie di anguilla marina e tutto questo mentre il popolo, ieri come oggi, viveva con la tessera per i beni di primo consumo.

Alla domanda di come fosse in realtà Castro, senza alcuna esitazione Hernandez ha risposto a Szablowski che Fidel “aveva modi gentili ed era dolce come un padre” ed inoltre che “nessuno ha mai fatto tanto bene a Cuba come Fidel”.

Per completezza dell’ informazione l’intervista fu effettuata a Cuba.


 [A1]

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