Cronaca

Libertà, diritti e doveri

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Logica politica sull’oggi, ma il Paese vuole un futuro

L’avvio della fase due nel duro confronto con la pandemia che ha visto il nostro paese tra quelli più colpiti nel mondo intero e in Occidente  – al di là di ogni rincorsa mentale alla primogenitura in questa autentica tragedia dell’umanità  – pone all’Italia e al sistema internazionale nel quale è collocata, molte domande e molte conseguenti risposte da dare per il superamento e il riavvio dell’economia, il riequilibrio sociale e la lotta senza quartiere alla povertà estrema che sembra essere il portato più duro di questa emergenza.

La decisione del governo di far ripartire alcune attività, alcuni comportamenti sociali pur nel rispetto rigoroso delle misure di contenimento e di sicurezza che restano imprescindibili poiché la pandemia è più controllata ma non domata, è dunque un atto di responsabilità cui non manca il consenso degli italiani e di buona parte del Parlamento.

Tuttavia, come spesso accade, la sensazione più pregnante è che la politica fatichi a prendere il passo necessario e che sia palpabile il rischio di una gestione dell’oggi, fatta di annunci, di interventi programmati poderosi che come la famosa montagna corre il pericolo di partorire il topolino, mentre in questo momento occorrerebbe un pachiderma, poiché in gioco è il futuro stesso del sistema paese.

E, altra sensazione palpabile, la circostanza palmare che non esiste nella politica alcuna consonanza di intenti verso il paese. Quel paese il cui popolo – al netto della fisiologica e per fortuna contenuta dose di idiozia – ha dato prova di coesione, solidarietà, unità di intenti e comprensione delle difficili circostanze. Un popolo che ha obbedito all’unisono ad indicazioni cogenti che hanno limitato e limitano molte delle più elementari libertà civili e personali. Una compressione giustificata nell’urto dell’emergenza come sottolineato dal premier, ma che nella fase in cui ci stiamo avviando necessita – se prolungata in varie forme – di risposte chiare e inequivocabili. E non solo immaginando la celebrazione di elezioni locali o del referendum sul taglio dei parlamentari, ma consentendo agli italiani di esprimere la loro opinione in molti altri modi. La politica, in queste settimane di chiusura non ha mostrato particolare sensibilità se non nello sviluppare polemiche sterili e controproducenti rebus sic stantibus. E questo iato va superato al più presto.

Insomma, la percezione dello status attuale non aiuta a guardare a quel futuro denso di incognite che dovrà essere fatto di sacrifici, lavoro, fatica, per recuperare un pesante meno 9 per cento di Pil che solo nel 2022 e oltre, se ci riusciremo, potrà essere annullato. Un gap maggiore di altri paesi europei colpiti, ma che ci vede nella condizione più difficile per il peso immenso del debito – che in questa fase ci è permesso aumentare – che continuerà nella sua corsa a ipotecare le generazioni future.

Ecco perché le decisioni di oggi, le scelte, la condivisione di un disegno complessivo per il paese che dovremo ricostruire, necessiterebbero di una visione ampia, strategica delle cose da fare e del perché farle. Una visione da statisti, come fu quella di De Gasperi nel secondo dopoguerra. Quella che accettò l’aiuto del famoso piano Marshall del quale si sparla tanto oggi, trasformandolo in un volano che diede al paese distrutto la forza di rialzarsi e di progredire. Non mancarono sacche di arretratezza, forme di criminale sfruttamento e ogni altra possibile nefandezza, ma in poco meno di dieci anni l’Italia divenne una delle economie più vivaci e potenti del mondo, eredità che ancora oggi ci accompagna.

Eppure, ogni giorno assistiamo a dichiarazioni, a balbettii su ogni genere di questioni, tra loro scollegate, senza capire il perché si debba fare questo o quello. L’Europa ha dato il segnale dell’aiuto economico senza condizioni se non quelle previste dall’economia mondiale nel suo insieme, un aiuto insperato in un paese scettico e che tuttavia se manca una visione vera e concreta, rischia di trasformarsi nel solito sistema a pioggia. E il fatto che ogni esponente di governo guardi al suo orticello immaginando lo sviluppo di esso senza ancoraggio di insieme spaventa e crea non poche perplessità. Se le imprese grandi, medie e piccole, chiedono aiuto non è per ricevere soldi e basta, ma per assicurare il futuro a sé stesse e a chi lavora e in generale a tutto il popolo. Certo, una consistente quota di risorse a fondo perduto (espressione ambigua ma reale) come deciso in molte altre nazioni sarebbe necessaria per salvare molte delle attività in crisi, ma il segnale di limitatissimo accesso alla linea di credito dei 25 mila euro, mostra chiaramente che l’italiano non vuole sussidi ma incentivi.

La crisi creatasi non solo in Italia in poco più di due mesi di emergenza e di chiusura non va analizzata solo di per sé, altrimenti le fondamenta dell’economia mondiale sembrerebbero inesistenti, ma vista nella prospettiva del dopo, di quando le scelte strategiche, sulle infrastrutture, sul contenimento e la transizione energetica, sull’aumento della ricchezza nazionale e del lavoro potranno e dovranno fare la differenza. Lavoro, impresa, non assistenza o pannicelli caldi. Altrimenti il bisogno aumenterà e non saranno redditi, sussidi o altro di cittadinanza le risposte giuste evitando la pura demagogia di corto raggio. 

Ecco perché continuare a vedere due modi di intendere il Paese e non vederlo in sé, continuare a pensare al domani immediato e non al futuro prossimo, al consenso minimo e non a quello strategico, sono altrettanti esempi di una classe politica non all’altezza e nella quale nessuno sembra in grado di pensare in grande, per l’intero sistema nazionale. La conclusione è che se non incidiamo una volta per tutte nelle sacche di inefficienza, nella burocrazia snervante, nell’assistenzialismo fine a sé stesso, non basterà alcun aiuto economico e finanziario a farci scattare all’insù, a ricreare veramente il paese e mantenerlo come merita nel novero delle nazioni più sviluppate e produttive!

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