La parola della settimana
Nel sentire comune, potrebbe apparire fuori luogo dinanzi a una tragedia come quella della pandemia che ha investito gran parte dei paesi del mondo e che vede l’Italia nella non invidiabile classifica dei paesi maggiormente colpiti in rapporto alla popolazione, occuparci di un termine che sembrerebbe concepito per ben altri scenari e ben diverse atmosfere sociali.
Eppure, quello al quale assistiamo in questi primi passi della riapertura dopo il lockdown, presenta qualche evidente caratteristica di uno status psicologico non molto dissimile dall’euforia. Proprio questa la parola della quale ci occupiamo. Come si intuisce si tratta di una parola composta di origine greca con una prima parte “eu”che vuol dire “bene” e una seconda “foros” che discende dal verbo “fero”, simile allo stesso latino, con il significato di “portare”. Dunque, euforia è in sostanza il portarsi bene, o ancora «che si porta facilmente; sano, fertile».
Se ci trasferiamo a livello concettuale, con euforia si intende la sensazione, reale o illusoria, di benessere somatico e psichico che si traduce in un più vivace fervore ideativo, maggiore recettività per gli aspetti belli e favorevoli dell’ambiente, tendenza a interpretazioni ottimistiche; può essere segno di una reale condizione di perfetta salute, ma talora è connesso con fenomeni per lo più lievi d’intossicazione (da alcol, stupefacenti, o per particolari situazioni sociali, emozionali e via dicendo), o con disturbi psichici, o addirittura con stati tossinfettivi gravi o talora è espressione di patologie psichiatriche (eccitamento maniacale).
Si intende anche con valore più generico e nell’uso comune come stato di benessere, senso di soddisfazione (sia in singoli individui, sia in gruppi o collettività), che si esprime con allegria, vivacità esuberante, e simili. Anche, in senso figurato con riferimento all’attività economica, agli affari, ad esempio, mercati finanziarî in stato di euforia.
Come ben si comprende quando si analizzano parole, sostantivi, i possibili significati e riferimenti si ampliano a livello inaspettato. Questo è anche il caso del termine che stiamo esaminando. La situazione attuale, quella nella quale la sensazione della conclusione della parte più difficile della chiusura generalizzata del paese per le ragioni di contenimento del virus e della sicurezza, sembra avviarsi un passo alla volta e con l’immanente rischio di un ritorno indietro, sta facendo emergere in molti strati della popolazione un sentimento che potrebbe apparentarsi proprio all’euforia, nel senso originario dello stare bene, del portarsi bene.
È però di tutta evidenza che nei comportamenti sociali di questo dopo intriso di incertezza e complessità mai sperimentate in passato, almeno recente, si assiste anche alla comparsa di alcuni comportamenti pur comprensibili dopo settimane di isolamento e privazione ma che vanno in direzione non conforme alla richiesta pressante di gradualità onde evitare nuovi pericolosi focolai ed esplosioni di ritorno dell’epidemia.
Siamo ancora alle prime battute, mentre le riaperture si moltiplicano a velocità ridotta con interi comparti ancora bloccati. E tuttavia mentre negli stabilimenti, negli uffici, nelle banche, nei luoghi di lavoro in genere prevale il rispetto rigoroso delle misure e dell’utilizzo dei dispositivi, sono molti gli altri ambiti, quelli della vita quotidiana e sociale in genere che presentano rischi elevatissimi di contagi di ritorno se il rispetto del distanziamento e l’utilizzo di mascherine, disinfettanti, dovesse trasformarsi in una sorta di routine anonima e le necessità imposte venissero interpretate come qualcosa di eccessivo e questo in tempi stretti soprattutto guardando alla stagione estiva e delle vacanze.
Ogni giorno sentiamo ripetere che nulla sarà come prima, che nessun atto al quale eravamo assuefatti potrà essere ripetuto come si è sempre fatto, dal più semplice al più complesso, e che dunque la nostra vita sta subendo e subirà un’evoluzione comportamentale mai immaginata sino a poche settimane fa, eppure è come se in tutti noi esistesse una sorta di richiamo verso un atto catartico, risolutivo. Così ci esaltiamo se si parla di un vaccino in tempo rapidi, ci abbattiamo per il richiamo ad una realtà meno positiva, ci sentiamo sballottati dopo decenni vissuti con la possibilità di trovare risposte ad ogni problema, attraverso la tecnologia e i suoi ritrovati. Abbiamo invece di fronte un avversario invisibile, subdolo, mutevole che non ci permette di avere risposte esaurienti e confortevoli e che ci lascia invece incertezza e paura dell’ignoto.
Eppure, strisciante, con lentezza, corriamo il pericolo di farci “contagiare” da quella che si potrebbe definire un’euforia collettiva, una sorta di immunità di massa, come se essere in tanti, insieme, per le strade, nei locali ci rendesse più forti. Un’euforia che potrebbe rivelarsi micidiale. Forse è meglio allora interpretare la parola nel suo significato più stretto, essenziale, quel portarsi bene, dunque, nel rispetto delle regole, con saggezza, buon senso, un pizzico di ironia se possibile!