Economia

Le imprese italiane alla sfida dell’innovazione

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Il post Covid sarà nel segno della digitalizzazione, delle relazioni e della sostenibilità

Il mondo che ci attende in questa nuova partenza non sarà lo stesso che abbiamo lasciato prima dell’emergenza Covid-19. E’ questo l’assunto di base da cui ogni imprenditore deve partire per rimettere in pista la propria azienda. Questo significa essenzialmente che non è sufficiente augurarsi di tornare presto alla normalità, ma è necessario adattarsi rapidamente al nuovo scenario ed essere pronti a rivedere i propri modelli di business, creando nuovi prodotti e servizi per rispondere ai nuovi bisogni dei consumatori.

Le nostre imprese sono dunque chiamate ad un difficile esercizio di resilienza, che impone di superare vecchi paradigmi, elaborare soluzioni nuove e creative per competere nella “nuova normalità”, e trovare il modo di trasformare le criticità in opportunità, ripartendo dai nuovi needs emersi nella società e dagli insegnamenti appresi durante crisi. In questo percorso di ripartenza, il cambiamento è una strada obbligata, l’innovazione una necessità, non più un’opzione.

Puntare sull’innovazione, invero, significa non soltanto abbracciare la tecnologia ma anche ripensare i processi produttivi, i modelli organizzativi, il sistema valoriale e gli scopi da perseguire oltre il profitto, acquisire consapevolezza delle ricadute ambientali e sociali della propria attività, ridisegnare i rapporti tra le aziende e tra le aziende e la realtà circostante. Superato questo drammatico momento, le imprese che avranno saputo adottare nuovi modelli culturali e di gestione d’impresa possiederanno un importante vantaggio competitivo rispetto a quelle che avranno solo cercato di limitare i danni.

La digitalizzazione è senza dubbio una leva di crescita importante e in questi mesi ha mostrato tutti i suoi vantaggi segnando un punto di svolta dal quale non è possibile tornare indietro. Il digitale, infatti, è rapidamente passato dall’essere uno strumento per migliorare la vita delle persone a parte integrante della vita quotidiana. Complice lo stato di necessità, le aziende hanno effettuato un “salto digitale”, un’evoluzione che – a detta degli esperti – in condizioni di normalità si sarebbe concretizzata nell’arco di 5 anni.

Abbiamo assistito all’aumento esponenziale dello smart working e di tutte quelle pratiche che, per garantire la piena operatività, fanno leva sul digitale. Le connessioni veloci, le piattaforme di collaborazione e gli strumenti di produttività ci hanno permesso di abbattere le distanze, mantenendo solo quelle dettate dal distanziamento sociale.

L’e-commerce si è affermato uno strumento fondamentale per fare business. Le aziende che già ne facevano un discreto uso sono riuscite a continuare a fornire servizi e prodotti meglio delle altre e quelle che di fatto operavano già totalmente o quasi in tale modalità hanno vistosamente aumentato i fatturati. Le transazioni digitalizzate diventeranno la normalità, sostituendo con velocità superiore al previsto le precedenti modalità. Sfruttare il mondo dell’e-commerce significa non solo vendere localmente ma aprirsi al mondo intero. Questo non è un aspetto irrilevante per un sistema economico come quello italiano che ha nell’export la sua punta di diamante.

Per accelerare i processi di innovazione servono però anche degli ecosistemi. Una delle lezioni della crisi è che da soli non si riesce a gestire in modo veloce il cambiamento. Le aziende di eccellenza devono quindi ragionare in modo sistemico ed aprirsi alla collaborazione con università, startups, centri di ricerca, partner tecnologici.

Fare squadra permette, infatti, di raggiungere risultati più ambiziosi: in questi mesi di emergenza abbiamo avuto modo di osservare esempi virtuosi, esperienze sperimentali di forme di collaborazione tra imprese rivolte, di caso in caso, alla produzione coordinata, mediante condivisione di disegni e informazioni di processo, di prodotti destinati a supplire alla scarsa disponibilità degli originali sul mercato, alla reingegnerizzazione di prodotti già esistenti sul mercato, ma adattati in partnership alle nuove ed impellenti esigenze della collettività.

Forme di inedita connessione che hanno consentito di raggiungere risultati ragguardevoli sotto il segno della solidarietà, di un forte senso di appartenenza territoriale e in alcuni casi di ripensare il proprio modello produttivo in un mercato totalmente nuovo. L’auspicio è che questo insorgere diffuso e spontaneo di forme di connessione tra realtà diverse, per caratteristiche e dimensioni, non rimanga relegato alla fase di emergenza ma che diventi un fenomeno sistemico. Ciò in quanto si tratta di un utile strumento per salvaguardare e valorizzare le singole identità delle specifiche aziende, quella dimensione di artigianato industriale che è elemento sul quale il nostro tessuto produttivo fonda la propria resistenza alle spinte centrifughe della globalizzazione.

La sfida alla modernità si vince, inoltre, mettendo al centro il capitale umano. L’imprenditore deve trovare nei suoi dipendenti degli alleati, dare spazio al punto di vista dei giovani e predisporsi all’ascolto. Occorre quindi pensare a nuove strutture organizzative caratterizzate da una leadership diffusa e inclusiva che superi i modelli obsoleti estremamente gerarchizzati e coinvolga i dipendenti a tutti i livelli, creando nuovi stimoli e le condizioni necessarie a velocizzare i processi decisionali e la flessibilità all’intero business.

La cultura organizzativa orientata al benessere dei dipendenti e alla ricerca dei talenti, infatti, rappresenta il punto di partenza per stimolare innovazioni ambiziose, sviluppare competenze specialistiche e trasversali, migliorare contemporaneamente il work–life balance e la qualità del management, e fornire un ambiente di lavoro altamente motivante.

E’ questo un approccio che permette anche di rispondere alle rinnovate esigenze di uno sviluppo sostenibile. Il mondo delle imprese è, oggi più che mai, chiamato a porre l’attenzione sugli impatti generati sul territorio e sulla collettività dalla propria attività, perseguendo valori aziendali che si coniugano con finalità ulteriori rispetto al solo conseguimento del profitto.

Il profitto non può più rappresentare il fine ultimo, ma al contrario può essere uno strumento per l’inclusione delle persone, la difesa del lavoro, una distribuzione più equa delle risorse, una riduzione delle esternalità negative prodotte.

 L’emergenza Coronavirus è anche figlia, come ha detto con straordinaria efficacia Papa Francesco, “della nostra pericolosa illusione di rimanere sani in un mondo malato”. La fase di ripartenza deve essere affrontata avendo quindi ben chiari gli errori da non ripetere, per non intaccare ancor più e in maniera irreversibile le risorse naturali, compromettendo il benessere delle persone e, ancora di più di quanto non sia già accaduto, il futuro delle nuove generazioni.

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