La parola

COESIONE

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La parola della settimana

L’ultima volta in ordine di tempo che la parola in questione è stata pronunciata è stato questa mattina in Parlamento dal premier Conte nell’informativa sul Recovery Fund in vista del prossimo Consiglio europeo. Le opposizioni hanno lasciato l’aula. Due elementi di riflessione per questo vocabolo evocato sempre per chiedere unità di intenti su un piano, un programma, un’azione da intraprendere e le cui declinazioni nella narrazione politica e sociale sono spesso molto deludenti ma non per colpa del termine, ma delle posizioni sottostanti degli attori della richiesta e della risposta.

Partiamo come sempre dal dizionario che alla parola coesione riporta la sua derivazione dal latino e ricorda il participio passato coeso e l’infinito del verbo originario “cohaerere”. La prima considerazione che viene fatta concerne la proprietà dei corpi di resistere a ogni azione che tenda a staccarne una parte dall’altra, in virtù di forze attrattive (delle appunto di coesione) derivanti da azioni elettriche fra elettroni e nuclei di atomi o molecole contigui (affini a tali forze sono quelle indicate come forze di adesione).

In senso generico, stretta unione fra le particelle di un solido, di un liquido, di un gas, di un materiale a costituzione granulare, ecc. Con riferimento a terreni, è in genere sinonimo di compattezza con una distinzione tra coesione vera, ossia mutua attrazione delle particelle del terreno, e una apparente determinata dalle tensioni capillari dell’acqua interstiziale. Sempre restando sulle definizioni scientifiche in botanica si indica la fusione di organi di uno stesso verticillo, sinonimo quindi di coerenza.

Ancora ricordiamo il senso di unità, fusione organica tra elementi di un complesso: la cosione  tra i soldati di un reparto, tra i militanti di un partito, tra i gruppi politici al governo, tra i sostenitori di un’idea;oppure la stretta unità logica, quando si dice ad esempio un discorso privo di coesione, vale a dire slegato (diverso da privo di coerenza, cioè contraddittorio). Con accezione particolare poi in linguistica testuale, la connessione tra le diverse frasi di cui il testo si compone, realizzata con mezzi sia grammaticali (per es., pronomi e congiunzioni) sia semantici (per es., il riferimento a un particolare termine attraverso sinonimi, iponimi e iperonimi o con ellissi facilmente colmabili da parte del ricevente).

Come si vede diverse possibilità interpretative e diversi contesti, e pur tuttavia, se si dice coesione si pensa ad una uniformità di intenti tra diversi, ad un’alleanza per uno scopo e sulla quale il tempo dirà se è vera coesione oppure no. 

Da decenni nel nostro paese – discorso eguale e diverso – può essere fatto analizzando contesti sociali e politici di tutti gli altri paesi, soprattutto a sistema democratico, essendo la coesione in quelli autoritari o dittatoriale un risultato della forza del potere e dunque apparente in gran parte, assistiamo alla pressante richiesta di coesione nazionale da parte di chi governa nei confronti del paese e delle opposizioni politiche. Da decenni però di coesione si parla in termini sbagliati, interpretandola in modo univoco e unidirezionale. Si invitano gli altri cioè alla coesione con il proprio programma, le proprie scelte, ovviamente fatte in nome del futuro e della crescita del paese.

Siamo insomma, senza speranza – o meglio nella condizione di speranza vana – di una richiesta di adesione, non di coesione. Perché infatti si realizzi la coesione tra diversi più o meno omogenei, occorre che vi sia una visione quanto meno condivisa nelle sue forme essenziali, tanto da rendere possibile un avvicinamento capace di generare quella coesione alla quale si aspira. Ed ancora occorre che i futuri coesi stabiliscano il terreno di condivisione necessario, quel terreno comune che solo può dare origine alla coesione. Nulla di più lontano dalla realtà del paese, ma soprattutto nulla di più lontano dalla politica del paese.

E stupisce che o novelli demiurghi, i cittadini pentastellati, nell’esercizio del potere mostrino una innata capacità di cercare l’adesione, non la coesione. I cinquestelle sono in sostanza un insieme di monadi e non un corpus politico coerente. Come possa conciliarsi tutto questo con il governo di un paese e la necessaria tenuta della società che lo esprime è mistero. Forse nascosto in menti superiori delle quali tuttavia non si ha traccia.

Ecco allora che l’ennesimo richiamo del “manovratore” che lasciando momentaneamente il fardello del governare nel chiuso delle stanze chiede che si sostenga la sua visione, la sua idea, il suo concetto di gestione delle emergenze e delle politiche necessarie per il paese, dopo aver fatto scorrere sullo sfondo il suo “grande” sforzo di comprensione della realtà (la passerella degli Stati generali), non produce e difficilmente potrebbe produrre una vera coesione. Del resto va anche sottolineato che le opposizioni continuano in una preconcetta visione alternativa e a loro dire salvifica, incapaci di cogliere gli spazi necessari a favorire non le proprie fortune politiche di maggioranza o di opposizione, ma le opportunità per il paese che poi dovrebbe essere l’obiettivo di tutti.

Non c’è che dire, basta poco per comprendere che per avere coesione, cioè per “cohaerere” con chiunque altro, occorre che la volontà di coesione sia quella che si esprime nel prefisso della parola, in quel “co” che rimanda alla condivisione prima che alla coesione. Di tutto questo, con rammarico e tristezza possiamo dire senza tema di smentita, non vi è alcuna traccia!

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