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Paese reale e paese virtuale

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Le traveggole della politica, lo iato tra realtà e immaginazione del futuro

Il lento riavviarsi del Paese dopo la pandemia e il lockdown, tra timori ancora presenti per il nemico invisibile e sempre presente, sta facendo anche inesorabilmente i conti con l’”eredità” che l’Italia si porta dietro da decenni. Un lascito ingombrante della storia, fatto di questioni mai affrontate, di problemi mai risolti, di congiunture mai superate, di emergenze divenute perenni. Una fotografia impietosa eppure frutto di amore per un paese meraviglioso, pieno di talenti e costretto ad essere analizzato, radiografato ogni volta che i suoi problemi vengono affrontati anche a livello  internazionale, soprattutto in quell’Europa da noi fondata ma in ben altra stagione e in ben altra politica.

L’unica risposta che la realtà non richiede è quella nazionalista, sovranista e questo virus è presente non soltanto in quanti si definiscono tali, ma in ogni forza politica sia di maggioranza che di opposizione. Assume diversi volti, si dissimula in discorsi che sembrano di altra natura, ma è lì, sempre lì. E’ la tara più grande con la quale facciamo i conti ogni giorno. Una tara che prima ancora di rivestire i colori di parte è per così dire innervata nella stessa evoluzione storica del paese. Siamo una collettività di individualismi personali, locali, regionali, una nazione di monadi insofferenti ad ogni tentativo di condivisione che non sia solo di facciata.

Oltretutto un insieme di visioni di un paese possibile tra loro non coincidenti. A contraltare di questo la sostanziale saggezza degli italiani che nella realtà quotidiana affrontano – al netto di fisiologiche forme di devianza sociale, meglio dire di stupidità – i problemi di ogni giorno. Quelli che peraltro si tramandano di generazione in generazione. Chi non sa sin da quando è bambino che esiste la burocrazia, quel famoso “ufficio complicazione affari semplici” con il quale conviviamo dagli atti più semplici a quelli – ahinoi! – più complessi? Chi non si pone la domanda se sia necessario trovare un sostegno politico, locale o nazionale, per poter andare avanti con le proprie iniziative ed esercitare quelle libertà – diciamo libertà – che la Costituzione riconosce? Del resto è semplice dedurre che uno stato di emergenza dichiarato per via amministrativa sia una delle risposte più efficaci e disarmanti alla domanda iniziale (e questo al netto delle migliori intenzioni).

E allora?

La risposta a questo interrogativo non è certo semplice ed esauriente. Ma alcune indicazioni ci vengono dalle informazioni di giornali, tv, siti web, dalla narrazione quotidiana di cui siamo sostanzialmente destinatari.

La stagione che viviamo di tutto avrebbe avuto bisogno che di un’ultronea kermesse, di una passerella come quella degli Stati generali decisi e condotti dal premier. Se il risultato doveva essere quello di conoscere le posizioni di forze politiche e formazioni sociali, l’humus che i cittadini alimentano con le proprie esigenze e le proprie quotidiane domande, gli strumenti a disposizione erano quelli tradizionali e collaudati dalla Costituzione, la famosa consultazione che i governi fanno al cospetto di scelte importanti, determinanti, incisive per il futuro del paese. Dunque perché riunire in un luogo simbolo della bellezza del paese, all’interno di uno storico spazio verde della Capitale, le stesse persone, le stesse organizzazioni, che potevano essere ascoltate nelle sedi istituzionali? La risposta a questa domanda potrebbe riguardare più l’egocentrismo personale, l’autogratificazione individuale del potere che ponderose analisi sociologiche degne di miglior causa e di miglior tempo.

Se poi volessimo trovare una riprova di questo, basta vedere il mesto esordio durato lo spazio di un mattino, del famoso comitato presieduto dal manager Colao, “costretto” a lasciare Londra per Roma, a riunire centinaia di persone per elaborare un piano complesso e articolato, a suo modo realistico, sulle cose da fare e considerato poco più che il contributo di un normale centro studi di vecchia maniera. A voler essere polemici, l’italiano medio si chiederebbe in primis quanto tutto questo è costato, e quando vedremo il segno delle cose indicate. Per il manager, supponiamo, la sensazione di aver avuto un onore-onere che sembra però aver prodotto un buco nell’acqua per così dire. E allora? Resta sempre la domanda di fondo.

Dopo tutto questo, il premier si presenta in Parlamento per riferire dell’iter del Recovery Fund in vista del Consiglio Europeo, dispensando indicazioni sulla posizione che il governo assumerà nel consesso comune e sulle linee di forza della nostra posizione. Riferisce, cioè, quanto deciso evidentemente in altra sede. Ma non è il Parlamento la sede delle decisioni, in primis quelle epocali come la stagione richiede?

E poi, le solite anime belle, le solo apparenti alici nel paese delle meraviglie  si scandalizzano dell’uscita dall’aula delle opposizioni, che peraltro hanno seguito la logica, disertando gli stati generali, levatrici di queste comunicazioni in qualche modo.

Opposizioni che, peraltro tutto fanno tranne che quello che dovrebbero, ovvero incalzare il governo e la maggioranza, cercare il contributo delle formazioni sociali, di chi conosce la realtà vera della nazione e pretendere di portare tutto questo alle Camere, luogo della sovranità popolare e non solo comodo divano dei politici. Disertare sedi non istituzionali in polemica è, se non condivisibile, comprensibile. Lasciare le sedi istituzionali è invece sempre un errore, nel paese che ha vissuto l’Aventino e quel che ne è seguito. Ovviamente un’iperbole ma è sempre bene porsene qualcuna ogni tanto, altrimenti si istituzionalizza il sonno della ragione, l’anestesia delle coscienze. Insomma la politica continua ad avere le traveggole e la spaccatura  tra realtà e immaginazione del futuro rischia di divenire un baratro così come la distanza tra il Paese reale e quello virtuale immaginato nel proprio studio, sommersi di studi importantissimi ma mai completamente letti e neppure presi in reale considerazione. Una svista imperdonabile! Una iattura per tutti noi! E non saranno lo stellone e neppure i soldi dell’Europa a toglierci dai guasti futuri!

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