La parola della settimana
Come primo approccio, potremmo dire che il termine identificato si collega in modo stretto ad altri due, strategia da un lato e temporeggiatore dall’altro. In un certo senso è costante il confronto tra questi termini che esplicitano un insieme di possibili atteggiamenti dinanzi alle scelte da compiere in ogni ambito.
Dunque, tàttica. La sua origine è greca e si sottintende ad essa il vocabolo tekné, ovvero tecnica, arte. Il significato principale è quello di indicare un metodo, i principî e le modalità d’impiego di truppe, reparti e mezzi bellici, a contatto col nemico, in battaglia o in combattimento (diversa dalla strategia che ha per oggetto la condotta generale della guerra e l’impiego di grandi unità a largo raggio, non a contatto con il nemico).
E proprio con la strategia continua il parallelo. Laddove infatti quest’ultima è la tecnica di individuare gli obiettivi generali di qualsiasi settore di attività pubbliche e private, nonché i modi e i mezzi più opportuni per raggiungerli, la tattica indica invece il modo di agire e di comportarsi che viene considerato il più adeguato e conveniente per raggiungere un determinato fine o risultato. Così accade ad esempio negli sport a squadre, lo schieramento che un allenatore fa assumere agli atleti a sua disposizione per impostare una determinata condotta di gara durante una partita; nelle corse, specie ciclistiche, gli accorgimenti adottati dai singoli concorrenti o dalle squadre in gara per avere la meglio sugli avversarî.
Esiste anche un uso più consueto, familiare per così dire a molti, dove si delinea con riferimento a fatti del vivere comune, un modo di procedere diretto accortamente a un fine. E a questo atteggiamento complessivo si collega il terzo termine, temporeggiatore, ovvero l’attitudine a prendere tempo, a valutare senza fretta, con l’obiettivo di provocare la reazione dell’altro, piuttosto che agire. Un comportamento reso famoso da colui che venne definito con nome proprio, il Temporeggiatore, ovvero in latino Cuntactor, il generale romano Quinto Fabio Massimo, che adottò questo comportamento nella seconda guerra punica contro il cartaginese Annibale.
Una premessa sia storica che logica per osservare da questo angolo visuale quanto sta accadendo nella politica nazionale, nella quotidianità della nostra amministrazione e di governo.
Difficile non avere la sensazione che al netto di affermazioni apodittiche (peraltro poco sostenute dalla complessiva statura degli autori) la quotidianità ci consegna una fotografia complessa: alti proclami, scenari progressivi e positivi, misure che tardano ad arrivare su tutti i fronti e, accanto a questo un continuo stop and go, un tirare fuori il coniglio (ci perdonino gli animalisti) dal cappello a cilindro per lanciare avvisi ai naviganti e un continuo ritrarsi senza sostanzialmente incidere sulla realtà.
Di cosa sia frutto tutto questo è difficile dirlo. Si affollano e si intrecciano troppi elementi. L’assenza sostanziale di una strategia che metta insieme sostegno all’esistente in grave difficoltà per le conseguenze del dopo pandemia e linee di rilancio e di ripresa dell’intero sistema economico che non trovano ancora la forza delle risorse annunciate ma che arrivano a stento e senza un coordinamento vero.
La stagione breve ma pesante che ci precede mostra con evidenza che il consueto modo di muoversi della politica, a questo punto nuova o vecchia non sembra far molto la differenza, non coglie nel segno. La retorica è che la pandemia abbia creato e non solo in Italia, condizioni simili a quelle di un dopoguerra lacerante, dove la povertà aumenta e la capacità di ricucire l’insieme fatica a mostrarsi. E’ in questo frangente che la politica nazionale e il suo riflesso in Europa dovrebbe mostrare coraggio e chiarezza. Assunzione di responsabilità sul nostro maxidebito e scelte conseguenti in grado di frenarlo ora e poi aggredirlo domani. E non invece il consueto coro di lamentele su chi ci dovrebbe dare i soldi e non li fa arrivare.
E’ evidente che da un lato chi sa fare impresa dovrebbe trovare sostegno rigoroso ma ampio e accesso al credito conseguente per liberare risorse cruciali e che lo Stato dovrebbe concentrarsi sul come riavviare il sistema, creare o contribuire a creare e non soltanto salvare posti di lavoro con politiche assistenziali a fondo perduto. Premessa questa per la ripresa dei consumi, segno di un paese in evoluzione positiva, dove opere strategiche pubbliche e private debbono essere volano di occupazione e di lavoro. Elementi che si tengono insieme oppure la tela complessiva si straccia. E ad agire in concreto, eliminando i lacci della burocrazia opprimente e temporeggiante, deve essere il governo centrale e locale in sinergia. Accade tutto questo? L’impressione non è positiva, anche perché l’illusione della ripresa della vita “normale” invece di spingere a semplificare sta mostrando tutto il contrario. La mole gigantesca di risorse che l’Unione Europa sta mettendo in campo dispiegherà i suoi effetti positivi ma il primo atto da parte nostra deve essere quello di dimenticare e far dimenticare con gesti coraggiosi i nostri problemi atavici di malgoverno e di intrecci vampireschi di ogni tipo di risorsa che si affacci dinanzi a noi. E’ questa la sensazione che stiamo dando ai nostri partner e alle istituzioni di Bruxelles. Qualche perplessità è legittima!