Il Paese nella morsa delle misure restrittive e dell’economia che annaspa
Qualche dato statistico recente ha mostrato una discreta capacità del sistema industriale italiano di riavviarsi, di riprendersi dopo la mazzata della pandemia e del lockdown conseguente. Primi elementi di fiducia che si scontrano con il fatto innegabile che prima di parlare di rilancio, sarà bene occuparsi di recupero. Aumentare del 40 per cento in un mese, per così dire, è positivo ma se lo paragoniamo alla perdita del 150 per cento precedente (dati in assoluta libertà ma in grado di mostrare l’assunto) il dato risulta ancora problematico.
E’ proprio in questo quadro che l’azione del governo, il confronto con l’Europa mostrano questa tenaglia rischiosa. A questo si aggiunge il pericolo tutt’altro che scampato di un ritorno pandemico che colpirebbe un tessuto fragile e ancora convalescente. L’annuncio del premier sulla proroga dello stato d’emergenza almeno sino a fine ottobre manifesta tutto questo stato di pericolo. Se da un punto di vista amministrativo è l’unica strada per agevolare alcuni capitoli economici della ripresa e migliorare la macchina statale e soprattutto tenere sotto controllo la salute del Paese e dei cittadini, da un altro lato, il mantenimento amministrativo di limitazioni dei diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione, comincia a mostrare profili non proprio positivi.
A questo va aggiunta la compressione del ruolo e del lavoro del Parlamento, ormai una sorta di scenario alle spalle del premier e del governo, chiamato ad esprimersi su decisioni già assunte e misure già decise, contrariamente alla retorica politica di sostegno. Il cittadino comune, poco incline verso il mondo politico avverte tuttavia come estremamente rischiosa questa virtuale sospensione di sovranità che attraverso i suoi rappresentanti dovrebbe esercitarsi proprio la dove essa sovranità trova alimento nel disegno costituzionale. Eppure la sordina continua e a nessuno sembra interessare più di tanto, al di là del formale ossequio e della consapevolezza del “difficile momento”.
Nessuno sa quando questa tenaglia si allenterà, ma in autunno con le elezioni locali e il referendum sul taglio dei parlamentari, senza scherzare e senza ridere, si comincerà ad incidere pesantemente sul futuro del paese e delle sue istituzioni. Non si tratta di aggiustamenti amministrativi l burocratici, ma di passaggi epocali sui quali forse occorrerebbe una riflessione diversa da quella vociante e insulsa alla quale assistiamo soprattutto tra i grillini il cui solo scopo è quello di appuntarsi presunte vittorie sulla casta e smantellamenti di pezzi del sistema stato. Occorre ricordare che qualsiasi riforma di rango costituzionale inerisce da vicino il disegno complessivo e, come in un edificio, modifiche di struttura devono tenere conto della struttura e della sua capacità di resistenza statica e dinamica. E’ lo stesso quadro nel quale in pochi decenni abbiamo avuto quattro leggi elettorali tra loro confliggenti al punto da rendere necessari interventi della Consulta al fine di evitare pericolosi eccessi o vuoti di norme. Nonostante questo il sistema è ancora sbilenco, i cittadini faticano a farsi capire e ad esercitare la loro sovranità. Mentre la politica vecchia e nuova cerca di mantenere se stessa.
Ecco perché, anche al di là delle oggettive circostanze l’intreccio tra emergenza sanitaria e pandemica ed emergenza politica non promette nulla di buono e molte sono le domande che rimangono senza risposta.
Una politica in difficoltà, un governo che di essa politica vuole essere espressione solo in parte, un confronto duro e dialettico con l’Europa che richiederebbe stabilità e autorevolezza nazionale, il permanere di oggettive limitazioni ai nostri diritti (pur ammettendo le eccezionali circostanze di contorno che però in quanto eccezionali non devono divenire la regola) costituiscono un mix a dir poco esplosivo del quale sarebbe folle non tenere conto. Soprattutto in un paese che appare sempre diviso ma dove le divisioni si inseriscono in tutti gli angoli, dai partiti, ai movimenti, dalle strutture statali a quelle locali e dove le risposte che si vorrebbero concise ed efficaci continuano a fare i conti con una burocrazia asfissiante e con soluzioni “burocratesi” in ogni aspetto della quotidianità.
Prima si consentirà con tutte le cautele al Paese di far sentire la sua voce, prima si comprenderà quello che gli italiani pensano delle condizioni nelle quali si trovano a vivere e lavorare, meglio sarà per tutti. La tensione sociale paventata dal Viminale non è altro che la lente accesa su sparsi, disorganici ma presenti fenomeni di illegalità, di scontro sociale si sarebbe detto una volta, sintomatici della lentezza, dei ritardi con cui arrivano le risposte a problemi di vera sopravvivenza. Un segnale da non sottovalutare in nessuna delle scelte e decisioni che si vanno a prendere.
L’emergenza sanitaria è chiara anche se il virus resta misterioso, inopportuno per inazione o errori di valutazione, permettere che la crisi politica in atto nel paese possa trasformarsi in emergenza. Dalla crisi politica alla crisi costituzionale il passo non è breve, ma certamente è rischioso persino pensare di imboccare una strada del genere!