Economia

La “vittoria’ di Conte a Bruxelles è poi vera gloria?

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L’accordo sul Recovery Fund c’è, ma è tutto ancora da scrivere

Una vera e propria standing ovation ha accolto, lo scorso 22 luglio al Senato, il nostro primo ministro Giuseppe Conte che ha illustrato le fasi delle laboriose trattative sul Recovery fund a Bruxelles.

Non solo in Parlamento, ma se sono veri i sondaggi, il premier è anche il più amato dagli italiani, un po’ come alcuni anni fa lo era Lorella Cuccarini in una nota pubblicità televisiva, tanto che oltre il 60% degli italiani vedrebbe in lui un leader di grande levatura politica e diplomatica, ormai a livello internazionale, e pensare che fino a meno di un anno fa era considerato una semplice ‘marionetta’ nelle mani Di Maio e di Salvini, ma il mondo gira e così anche le idee.

Dunque, il nostro Paese ha ottenuto dalla Unione europea 208 miliardi per uscire, con investimenti e riforme, dalla crisi economica creata dal Coronavirus ed a questo punto bisogna riflettere attentamente se il successo di Conte è stata una vera gloria di manzoniana memoria oppure la classica tempesta in un bicchiere d’acqua se neanche a 24 ore di distanza dal discorso in Senato, sulle meravigliose sorti che ci aspettano con il Recovery Fund, la maggioranza di governo litiga per chi deve gestire questa ingente somma e, se il buon giorno si vede dal mattino, il futuro che ci aspetta non è certo roseo.

Si parla già di una “cabina di regia” per avviare le mitiche riforme che coinvolgano tutti i ministeri, un tentativo, secondo molti osservatori politici, per sfilare al premier il potere di decidere dove destinare i miliardi che pioveranno da Bruxelles.

A parte le beghe politiche, è pur sempre un successo per Conte che lo ha rivendicato con orgoglio per il quale il risultato di queste trattative non è solo per il bene dell’Italia, ma è una vittoria significativa anche per l’Europa finalmente solidale che ha stanziato in totale 750 miliardi di euro di cui 390 a fondo perduto.

 Peccato che lo stesso premier, appena due mesi fa, affermava che la proposta franco-tedesca per 500 miliardi a fondo perduto era solo “un primo passo importante nella direzione auspicata dall’Italia. Per superare la crisi e aiutare imprese e famiglie serve ampliare il Recovery Fund”, mala politica si sa è anche l’arte del compromesso e, dunque, tanto per chiarire, c’è stato un taglio non da poco secondo le aspettative, ma bisogna sapersi  accontentarsi.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

L’Italia, dunque, otterrà 208 miliardi di euro tra sovvenzioni e prestiti, una cifra enorme, ma proprio per questo bisogna capire bene come è ripartita, al di là dei facili slogan politici, perché, come affermavano un tempo i teologi: “È nei particolari che si nasconde il diavolo”.

Diciamo subito che qui non c’è il diavolo, ma certamente c’è un ridimensionamento dei miliardi che dovrebbero arrivare in Italia; 208 miliardi vanno divisi in 127,4 che sono i soldi in prestito e 81, 4 sono quelli a fondo perduto, in pratica regalati, fin qui tutto bene anche perché è la quota più cospicua di tutta l’Unione Europea con il 27,8% dei famosi 750 miliardi approvati dal Consiglio europeo con il varo del “Recovery Fund”

Ottimo, si dirà, ma sarà bene adesso differenziare questa somma tra sovvenzioni e prestiti, perché i secondi, parliamo dei 127,4 miliardi, vanno ovviamente restituiti con un pur minimo interesse e di fatto non sono soldi regalati.

Fatta questa premessa, il denaro che gratuitamente entra nelle casse degli Stati sono gli aiuti a fondo perduto che ammontano a 390 miliardi, 81,4 spetteranno all’Italia ed è sempre una bella cifra, però, al di là dei laudatores di regime, ricordiamo che siamo anche tra i Paesi contribuenti netti della Unione europea con circa il 12,8% del bilancio comunitario, dando alle casse europee circa 50 miliardi.

Questo semplice calcolo dimostra che gli aiuti netti – mi riferisco alla somma di 81,4 miliardi – che arriverebbero nelle nostre tasche sarebbero in realtà appena di 31 miliardi, soldi che per giunta potremo ricevere diluiti nel triennio 2021-2023, con una prima tranche da 6 miliardi nella primavera dell’anno prossimo.

Insomma mi sembra di intravedere la classica montagna che ha partorito il topolino. Anche perché, al di là della facile propaganda, questa vittoria è stata presentata all’opinione pubblica come se noi, la Spagna, la Francia o altre nazioni, avrebbero potuto prendere subito e gratis questi soldi in nome della solidarietà europea.

Nulla di più sbagliato perché, come dimostra la lettura del trattato sul funzionamento dell’Unione, Tfue, non ci saranno trasferimenti di denaro sic et simpliciter, i soldi verranno dal mercato con emissioni obbligazionarie fornito pro quota dagli Stati europei.

Traducendo, parliamo di soldi che ancora non ci sono nelle casse europee e non si sa tuttora come verranno raccolti e distribuiti, ciò che sappiamo per certo è che questi soldi, quando e come dovessero arrivare, saranno soggetti a controlli e verifiche continui.

Un problema non da poco perché, al di là delle ottimistiche parole del premier sui miliardi all’Italia, prima dovremmo presentare  dei progetti validi e ben argomentati all’Europa da realizzare nei tempi prescritti, attenendosi rigorosamente alle regole comunitarie e senza deroghe.

A questo punto ci assalgono forti dubbi di farcela poiché dobbiamo ammettere con tristezza che non abbiamo una burocrazia in grado di presentare progetti da finanziare e ancora peggio, di spendere.

Pensiamo solo all’ imbarazzo dei fondi europei, soldi nostri che in tanti anni sarebbero potuti tornare indietro con un vincolo di spesa, ma sono stati mal impiegati, per non dire sperperati, e se tutto questo non bastasse abbiamo anche un Governo che si occupa di monopattini, biciclette e banchi di plastica, oltre reddito di cittadinanza e quota cento per non parlare dell’annosa riforma della giustizia, tutto questo senza alcuna politica strutturale ad ampio raggio.

Siamo sinceri: per i nostri partner europei questo non è molto rassicurante e se non presentiamo progetti e riforme valide non solo sulla carta, i soldi non li vediamo neanche con il binocolo perchè la Commissione fisserà i “piani per la ripresa e l’assorbimento dei stati di crisi” dei vari Stati, entro e non oltre due mesi dalla loro presentazione.

Si spiega nel trattato, tra l’altro, che “nella valutazione il punteggio più alto deve essere ottenuto per quanto riguarda i criteri della coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese, nonché del rafforzamento del potenziale di crescita, della creazione di posti di lavoro e della resilienza sociale ed economica”.

Forse visti tutti i lacci e lacciuoli di questo accordo più che una grande vittoria ci sembra, a nostro modesto avviso, la classica ‘Vittoria di Pirro’.


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