Scienza

Il crollo del paganesimo e la nascita del cristianesimo

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di Riccardo Liberati

Un cambiamento epocale non senza le atrocità dei vincitori

Vi sono nella storia, quelle che il filosofo Karl Jaspers chiama epoche assiali, periodi nei quali si verificano cambiamenti dei paradigmi del pensiero che hanno una influenza radicale sull’evoluzione della civiltà e sul distanziamento culturale tra occidente ed oriente.

Uno di questi si verifica intorno al cinquecento A.C. quando nel mondo occidentale i primi filosofi greci, messo da parte il mito che non risulta più idoneo a spiegare il mondo e la sua genealogia, si rivolgono alla logica formulando così le prime teorie razionali che tentano di mettere ordine nelle percezioni della realtà.

Un altro periodo è quello che si attua più o meno sei secoli dopo e che è responsabile della migrazione della cultura europea dal paganesimo al cristianesimo.

Siamo ormai da secoli immersi in una cultura che dipinge il cristianesimo come il punto di arrivo della storia e che ha sostituito un paganesimo ottuso e ignorante con un credo raffinato.

Non solo; i copisti cristiani sono coloro che hanno traghettato la cultura del mondo classico fino alle rive della modernità e se oggi siamo in grado di leggere Ovidio, Cicerone, Eschilo ed Aristotele, lo dobbiamo al cristianesimo colto ed elegante.

Ma è davvero così?

Molti storici non sono assolutamente d’accordo e le loro convinzioni si basano su documenti che costituiscono prove incontrovertibili.

Un autore in particolare, Catherine Nixey, ha raccolto ed esaminato le prove documentali relative al fatto che questa trasformazione non sia stata affatto indolore per l’Europa e che se è vero che molte opere sono giunte fino a noi grazie agli amanuensi, il novantanove per cento della produzione culturale e letterale del mondo classico è andata irrimediabilmente perduta, anzi, distrutta.

Che il cristianesimo sia un valore fondante della nostra civiltà è un fatto, ma l’immagine di un mondo pagano, crudele, ignorante ed arretrato è quanto di più lontano dalla realtà si possa immaginare. Noi abbiamo letto la storia dei vincitori, cioè dei seguaci di Gesù, ma non abbiamo letto quasi nulla di quella degli sconfitti, cioè dei pagani.

Le fonti, quelle poche che sono rimaste, parlano di un mondo di filosofi e di scrittori perseguitati e in molti casi eliminati fisicamente. Intere biblioteche date alle fiamme, libri bruciati, templi distrutti, statue deturpate.

Insomma uno scenario terrificante, degno dei terroristi islamici che hanno distrutto Palmira. La cosa più raccapricciante è che coloro che inneggiavano a questa distruzione erano uomini che la Chiesa ha poi dichiarato santi. San Girolamo, Sant’Agostino e lo stesso Paolo di Tarso istigavano i primi cristiani a distruggere tutto ciò che aveva a che fare con il paganesimo con il risultato che secoli di produzione culturale e letteraria è andato irrimediabilmente perduto per sempre.

La crudeltà era non solo tollerata, ma addirittura incentivata. “Non esiste crudeltà per quanto riguarda l’onore di Dio” scriveva San Girolamo nella lettera catalogata come 109,32.

Agostino di Ippona non era certo più tenero quando istigava i suoi adepti a distruggere nel nome di Dio ogni ‘superstizione pagana’. Il paganesimo aveva raggiunto vette altissime nel campo della medicina. Aulo Cornelio Celso aveva scoperto le cause dell’idropisia già alla sua epoca e parlava di circolazione ematica mille e cinquecento anni prima di William Harvey.

Il pensiero dei filosofi, non meno elaborato e profondo aveva avuto origine nella mente di uomini come Platone, Aristotele, Plotino ed altri grandi dell’epoca classica.

Di molti di loro ci rimangono pochi frammenti salvati per miracolo dalla furia dei primi seguaci di Gesù Cristo e gli ultimi pensatori greci fondatori dell’Accademia di Atene furono costretti a fuggire per salvarsi.

Costantino dichiarò il cristianesimo, religione ufficiale dell’impero. Teodosio e Giustiniano successivamente vietarono, pena la morte, qualsiasi rito pagano. Il trionfo della nuova religione avveniva nel terrore di coloro che non vi aderivano. L’dea che abbiamo oggi della religione che per quasi duemila anni domina l’Europa è quella di una struttura granitica, mai mutata nel corso dei secoli. Struttura creata da grandi teologi e pensatori come Tommaso d’Aquino, Origene, Duns Scoto. Ma non è così. I primi seguaci del nuovo credo non erano certo molto tolleranti, per usare un eufemismo e se oggi ci scandalizziamo del fanatismo degli integralisti islamici, uomini come Celso rimanevano inorriditi da ciò che facevano e dicevano i cristiani di allora. Scrissero molto di ciò che videro, ma ben poco si è salvato e spesso sappiamo di loro e delle loro opere dalle critiche pungenti e dalle citazioni dei loro persecutori e detrattori.

Come Umberto Eco fa dire al grande Sean Connery nel film ‘Il nome della Rosa”, il confine tra fede e fanatismo è molto labile. C’è anche da dire che il paganesimo degli ultimi anni dell’impero era in crisi: introduzione di culti orientali, progressiva perdita della religione pragmatica romana avevano ormai minato la società imperiale.

Non ostante le gesta di Flavio Giuliano detto l’Apostata, colui che Rudolf Steiner definì un titano, il paganesimo era ormai perdente nei confronti di una religione che predicava l’amore universale.

La Chiesa di Roma condannò in ogni caso certi eccessi causati soprattutto da una massa di schiavi e di reietti che convertiti al cristianesimo non avevano certo molti motivi di amare l’impero ed i pagani che lo rappresentavano.

Di fronte a tali eccessi, una domanda sorgerebbe spontanea: colui che da duemila anni chiamiamo ‘il Salvatore’ li avrebbe approvati? Certamente no.

Era troppo avanti a tutti per poter approvare qualsiasi tipo di fanatismo.

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