…. ovvero degli equivoci. Chiedendo sempre venia per un inizio fatto di puntini di sospensione opportuni per dare il senso compiuto della parola scelta. Commèdia, dunque, dal termine latino simile comoedia, a sua volta derivato dalgreco κωμῳδία, ovvero “comodia”. Da questa radice si scopre che il vocabolo significava in origine qualcosa come l’unione di «canto (ᾠδή, ossia ode) del festino (κῶμος)». In sostanza un richiamo a quelle rappresentazioni gioiose fatte di musica e di danza che nell’antichità costituivano parte integrante della cultura classica e non solo.
Il significato odierno, in senso ampio e generico, indica un’opera letteraria, in versi o in prosa, destinata alla rappresentazione scenica, e la rappresentazione stessa, di tono leggero, movimentata nel dialogo e nell’azione, caratterizzata da un alternarsi di situazioni ora liete ora tristi, ma la cui conclusione è di solito lieta. Sempre il dizionario: con particolare riferimento alla storia della letteratura e del teatro italiano, essa assume accezioni diverse, e cioè: a) agli inizî della nostra letteratura, componimento poetico che rappresenta un’azione a lieto fine, con personaggi di condizione sociale modesta (non alta cioè come quelli della tragedia), scritto in stile comico, cioè nello stile che, secondo Dante, è medio tra il tragico e l’elegiaco (e perciò Dante intitola Comedia il suo poema, mentre chiama tragedia il poema di Virgilio). b) Dal sec. 16° in poi, rappresentazione scenica, generalmente in versi, la cui vicenda, tratta dalla vita comune, si risolve lietamente attraverso un susseguirsi di casi divertenti; l’interesse per l’intreccio è prevalente e il diletto degli spettatori è cercato soprattutto con la successione di accidenti curiosi e la vivace pittura di «tipi» attraverso un dialogo brillante. c) Nel teatro contemporaneo, venendo meno la contrapposizione sia alla tragedia (che si ebbe fino a tutto il sec. 18°) sia al dramma (propria del sec. 19°), forma d’arte drammatica pressoché unica, in cui il fine lieto non è più indispensabile e l’interesse dello spettatore si concentra sull’analisi psicologica dei personaggi.
Con valore generale si descrive il complesso della produzione comica di una letteratura, di un periodo, di un determinato tipo o gusto, o, in senso ancora più astratto, il genere letterario cui le commedie possono essere ascritte: si pensi al greco Aristofane e al latino Menandro. Vari come sempre i possibili scenari, da quella di carattere, scritta per lo più in prosa, che si propone la rappresentazione di un carattere o difetto umano, differenziandosi da quelle di intreccio o di intrigo, a quella lacrimosa di tono patetico e sospiroso, in voga in Francia e altrove nel sec. 18°, che costituisce il precedente diretto del dramma ottocentesco. Ma esiste anche quella musicale, ad indicare genericamente le varie manifestazioni di teatro musicale comico-sentimentale e passata recentemente a indicare, come traduzione dall’inglese musical comedy, uno spettacolo musicale intermedio tra l’operetta e la rivista. Nel cinema, troviamo uno dei più fecondi filoni dello spettacolo (tradizionale nel cinema statunitense): sofisticata, brillante, sentimentale, di costume, e via dicendo come in particolare quella all’italiana, genere affermatosi alla fine degli anni Cinquanta e che ha privilegiato la satira e la critica di costume. In senso figurato, fare la commedia indica l’atteggiamento o il fatto che muove il riso o anche un fatto poco serio, una finzione, una simulazione di sentimenti ad esempio, sentimenti non provati, agire o parlare senza sincerità e con atteggiamenti teatrali, soprattutto per impietosire o con secondo fine; di cosa o fatto serio che termina nel ridicolo; il comportarsi in modo ambiguo, mutare facilmente opinione, agire con doppiezza; ancora metterla in commedia ossia in burla, anche trattandosi di cose serie.
Nella consueta riflessione ecco che la parola scelta, quasi senza sforzo, ci porta a guardare con gli occhi giusti lo spettacolo d’arte varia (ci scusi Paolo Conte) della nostra politica alle prese con la pandemia, la crisi economica e del lavoro, le questioni costituzionali e referendarie, le elezioni amministrative che tutti minimizzano ma che potrebbero dare lezioni a tutti. Uno scenario confuso, in certo senso comico, di attori che nell’interpretare il loro personaggio caratteristico stanno perdendo le coordinate del paese, diventando più che attori, caratteristi non riuscendo a vedere il quadro di insieme e il sistema al quale garantire stabilità e funzionamento.
Un governo legittimo in Parlamento ma mai votato nel Paese, una maggioranza fatta di due minoranze in difficoltà (di qui gli stantii richiami di qualcuno alle “destre” a ai vecchi riflessi condizionati resistenziali degni di miglior causa), un’opposizione unita in apparenza ma in cui ognuno pensa al suo dopo e non in sintonia con gli altri alleati ma che potrebbe espugnare il fortino. Nuovi presunti politici che si comportano anche nella dialettica come i peggiori esempi esecrati da decenni del vecchio sistema. Una mediazione continua che sa anche di mercanteggiamento pur di rimanere ancorati al potere.
In pratica una gigantesca e preoccupante commedia degli equivoci, anzi un po’ meno commedia e un po’ più dramma, vicina al trionfo della dissimulazione e dell’ipocrisia che Luigi Pirandello tratteggiò in modo mirabile nelle sue opere dal “Così è, se vi pare” ai “Sei personaggi in cerca d’autore”. Dunque una commedia drammatica dove nessuno è chi si crede e nessuno è esattamente quello che intende impersonare. Sullo sfondo, il Paese con le sue emergenze, le sue crisi endemiche, i problemi irrisolti e in aumento!