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Referendum, governo, e pandemia

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Il rischio più grave è la congestione tra annunci, decisioni e incognite

Anche ad un osservatore poco attento ed avvezzo ai sofismi non sfugge la particolarità della situazione nella quale viviamo. L’evoluzione della pandemia ancora lungi dall’essere completamente controllabile e prevenibile, pone ogni giorno nuove domande e richiede nuove risposte. Facile dire che il Covid ha modificato la nostra vita sociale e personale, è un’ovvietà scontata. Quel che è più complicato è cercare di capire dove realmente porterà questo cambiamento. Una cosa è ormai pacifica, il rapporto con la pandemia e quello con le malattie virali sta mutando il nostro approccio e per la prima volta da molto tempo anche la consuetudine con i virus influenzali subirà un drastico cambiamento di approccio. Tutto questo al netto della stupidità umana, del fatalismo incosciente e di tanti altri elementi di disturbo non preventivabili ma altamente rischiosi.

Una premessa prudente per analizzare la nostra quotidianità sociale e politica. Il pericolo maggiore che si staglia all’orizzonte con il passare di giorni e settimane e mentre si avvicina la stagione delle influenze, è certamente quello dell’ingorgo tra misure annunciate, misure allo studio, interventi avviati e da avviare. Il bilancio è quello di voler mettere un pachiderma nel letto di Procuste, ovvero far passare per  la cruna dell’ago. Lo sforzo del governo è certamente alto, ma la sensazione di gran confusione oggettiva anche. Non passa giorno che non vengano date indicazioni positive e poco dopo docce fredde. In questo modo il comune cittadino, quello saggio che usa i dispositivi di sicurezza, che non partecipa ad “ingruppamenti”, non riesce più a districarsi.

Si osserva che il paese deve riavviarsi, che la curva in discesa del prodotto interno rischia di divenire un precipizio e tuttavia ogni decreto, ogni misura, ogni indicazione anche cogente finisce con l’essere assorbita senza eco nel meccanismo burocratico dell’attuazione. Un dato con il quale nessuno sembra in grado di fare i conti in senso positivo. Basti ricordare che la percentuale dei provvedimenti avviati dall’inizio dell’emergenza (prorogata per ora sino al 7 ottobre), i suoi passaggi parlamentari anche troppo ovvii e troppo timidi da parte dell’esecutivo, il privilegiare la decretazione cosiddetta di urgenza, hanno prodotto sino ad ora una fase attuativa per meno di un quinto delle misure delineate e annunciate.

Tutto questo mentre i cittadini, le imprese, la società deve in certo senso ricominciare a camminare e per farlo deve sapere con certezza e chiarezza su quali strade e con quali misure. I dossier aperti e mai affrontati seriamente sono in aumento, i nodi irrisolti si sommano spesso alle baruffe tra alleati di governo e opposizioni e tra questi ultimi due soggetti. Sullo sfondo l’imminente referendum sul taglio dei parlamentari, l’assenza di ogni correttivo elettorale che del quesito referendario dovrebbe costituire il tessuto connettivo. In più il voto in sette regioni che pur non toccando il livello nazionale, darà comunque un assaggio del reale sentire del paese.

La confusione aumenta se osserviamo che tutti parlano di un cambio di passo, di un cambio di maggioranza, di una svolta salvifica, ma nessuno azzarda vere ipotesi per un dopo che si presenta se possibile più confuso della realtà. Quello che si sarebbe dovuto registrare in ogni ambito della politica e nel Parlamento, avrebbe dovuto essere un saggio approccio fatto di realismo e di concretezza, soprattutto in prospettiva dei grandi aiuti finanziari che l’Italia sta per ricevere dall’Europa e in grado se ben impiegati di dare un nuovo storico impulso alla nostra struttura economia e alla nostra manifattura pur sempre tra le prime dell’Occidente e non solo.

Quello al quale assistiamo, invece, è un cicaleccio tanto rumoroso quanto sterile. Da parte dell’esecutivo e dei suoi rappresentanti politici, da parte delle opposizioni e dei leader di questo schieramento. Ogni giorno qualcuno annuncia provvedimenti epocali e ogni giorno dall’opposizione arrivano critiche anche personali senza che si affrontino i nodi. La maggioranza resta sorda alle richieste degli oppositori, gli oppositori sembrano non sentire nulla che venga dall’esecutivo se non in chiave elettorale presente o futura.

Ecco perché referendum, governo e pandemia sembrano tre elementi di un triangolo sempre più acuto e spinoso. Su tutto la sensazione palpabile che il cemento sociale, la solidarietà pur presente e invasiva rischiano grosso e che la prevalenza dell’egoismo personale e di gruppo possano non essere uno scenario lontano e teorico, ma un rischio presente e prospettico. Il Paese si salva soltanto restando unito da nord a sud, senza distinzioni regionalistiche e particolarismi deteriori. La sinergia tra centro e periferia deve essere privilegiata. Il rapporto tra Stato e Regioni deve essere gestito con equilibrio ed indipendentemente dal colore politico di esecutivo e governatori. Il punto nodale è il Paese nella sua interezza e nell’equilibrio dinamico che solo può garantire la ripresa e il recupero di quella spinta innovativa che è elemento dal quale non si può rescindere. Rallentare, graduare, impedire per motivi miopi o per prospettive tattiche di corto respiro rischiano sia l’ingorgo del quale abbiamo parlato, sia il formarsi di un peso insopportabile sul cammino dello sviluppo armonico e in dialettico rapporto con l’ambiente del quale abbiamo disperato bisogno. Ogni balbettio, ogni cicaleccio sterile e di corto cammino, sono altrettante minacce al nostro futuro. Che da nord a sud ci riguarda senza eccezioni!  

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